Sono nato in una città di morti
E appena venuto al mondo ho preso il primo calcio in culo
Così finisci come un cane bastonato troppo a lungo
E passi metà della tua vita cercando un rifugio
No, non è l’incipit di una poesia nichilista e nemmeno un sonetto perduto intriso del pessimismo cosmico di Leopardi. Questi versi sono cantati all’inizio di una canzone icona della musica rock: Born in the USA.
Tutti presi a saltare e ballare gridando a squarciagola booooornindeeeiuuuuesssssseeeeiiii in pochi hanno mai capito il patriottismo amaro e rassegnato che si cela dietro questa canzone e, più in generale, nell’album omonimo di Bruce Springsteen.
Una volta mi sono messo in un piccolo guaio dalle mie parti
E così mi hanno messo un fucile in mano
E spedito in Vietnam
[…]
Avevo un amico a Khe Sahn
Combatteva i Viet Cong
Loro sono ancora là, lui è morto
[…]
Giù all’ombra del penitenziario
Fuori tra i fuochi di gas della raffineria
Da dieci anni sono per la strada
Nessun posto dove correre, non ho nessun posto dove andare
Alla base di questo fraintendimento che coinvolge non solo la canzone ma l’intero album c’è essenzialmente un problema: il suono suggerisce una storia ma la parola ne racconta una diametralmente opposta. Le musiche di BITUSA, infatti, sono per lo più giocose, allegre, ballabili e gli arrangiamenti sono quanto di più vicino alla musica POP abbia mai prodotto Springsteen. Le liriche invece sono intrise di tristezza, pessimismo, talvolta addirittura rassegnazione e – come analizzerò nel dettaglio più avanti – soprattutto solitudine. Le radici di questa dicotomia – chiaramente voluta ma sicuramente spiazzante – vanno ricercate altrove, precisamente nel 1982, quando Bruce pubblicò Nebraska, forse l’album meno conosciuto della sua discografia.
Nebraska è un album acustico: ci sono solo la chitarra, l’armonica e la voce roca del Boss. Nient’altro. Springsteen lo incise interamente in casa sua, da solo. L’idea iniziale non era quella di fare un disco, bensì di registrare delle demo da proporre poi alla band per l’incisione in studio, tuttavia quando Bruce si rese conto che le demo funzionavano meglio della versione full band, decise di pubblicarle nella spartana versione domestica (tant’è che in un paio di brani si sente lo scricchiolio della sedia). La completa scarnificazione musicale di Nebraska fa da contraltare a una ricchezza lirica probabilmente mai più raggiunta dal Boss e le canzoni diventano autentiche poesie che raccontano le gesta di criminali, le sofferenze familiari, gli amori disillusi, la povertà e, soprattutto, la disperazione. Il protagonista del brano Johnny 99, condannato appunto a 99 anni di prigione per i suoi crimini, prende la parola e dice:
Ora Giudice avevo debiti che nessun uomo onesto potrebbe pagare
La banca teneva stretta l’ipoteca e mi stavano portando via la mia casa
Ora, non voglio dire che questo mi renda un uomo onesto
Ma è stato soprattutto questo a mettermi quel fucile in mano
Quindi vostro onore credo fermamente che dovreste mettermi a morte
E se voi potete prendere la vita di un uomo per i pensieri che ha in testa
Allora si risieda su quella sedia ci ripensi su una volta ancora
E lasciate che mi taglino i capelli e mi preparino per l’esecuzione.
La maggior parte delle canzoni di BITUSA fu scritta in quel periodo e quindi incisa originariamente in versione acustica: nella raccolta Tracks (edita nel 1998) Springsteen ha inserito la versione originale (e quindi acustica) di Born in the USA e questa, a differenza della più famosa versione full band, non lascia alcun dubbio interpretativo sul suo significato:
I due album sono quindi nati insieme e pur essendo musicalmente agli antipodi raccontano le stesse emozioni e le immergono nelle medesime atmosfere. Il filo che lega Nebraska a BITUSA assomiglia più a una catena e non deve quindi stupire se i personaggi di BITUSA siano cupi, tristi, disperati e talvolta addirittura rassegnati.
I tempi sono difficili adesso, lo saranno sempre di più
Questo vecchio mondo è duro, lo sta diventano sempre più
Proteggimi, coraggio piccola, proteggimi
canta il Nostro nella seconda traccia di BITUSA, Cover me. Ma la paura fa il paio con la latente insoddisfazione di se stessi. In Dancing in the dark , il suo singolo più venduto, il Boss infatti ci dice senza vergogna
Mi alzo dal letto la sera
E non ho nulla da dire
Rientro a casa la mattina
Vado a dormire con la stessa sensazione
Non ho nulla, sono solo stanco
Amico, sono solo stanco e stufo di me stesso
[…]
Mi do un’occhiata allo specchio
Voglio cambiare i miei vestiti, i capelli, la faccia
Paura e insoddisfazione, ma non solo perchè c’è anche l’insicurezza dettata dal crollo di due pilastri su cui prima si era sempre fatto affidamento: l’amicizia e la stabilità economica.
In quegli anni “Little” Steven Van Zandt – storico chitarrista della E-Street Band e soprattutto amico intimo di Springsteen fin dall’adolescenza – decise di intraprendere la carriera solista e lasciò Bruce e la band. La separazione non fu dettata da dissapori o attriti, ma fu lo stesso molto dolorosa. Springsteen dedicò ben due canzoni a Little Steven, entrambe incluse nell’album: No surrender e Bobby Jean. In quest’ultima lascia all’amico di una vita un saluto dolce ma malinconico:
Può darsi che tu sia qua fuori o in strada da qualche parte
In qualche autobus o treno viaggiando lontano
In qualche stanza di un motel dove ci potrà essere
una radio che suona e tu mi ascolterai cantare questa canzone
Beh, se è così sappi che sto pensando a te
E a tutte le miglia tra noi
E ti sto giusto chiamando un’ultima volta
Non per farti cambiare idea
Ma solo per dirti che mi manchi amico
Buona fortuna, addio
Non dimentichiamo però che siamo nella metà degli anni 80, in piena era Reagan, e gli Stati Uniti conoscono una crisi economica dura e asfissiante. Le fabbriche chiudono, il lavoro non c’è più e la stabilità economica diventa un miraggio:
Adesso sulla strada principale ci sono solo vetrine imbiancate e negozi vuoti
Sembra che nessuno voglia più venire quaggiù
Stanno chiudendo lo stabilimento tessile dall’altra parte della ferrovia
Il caporeparto dice “questi posti di lavoro se ne stanno andando ragazzi e non torneranno mai più”
My Hometown è una denuncia forte ma dai toni rassegnati, perchè il sogno americano si è infranto e ora anche Bruce non ne ha più dubbi. Un tempo restava la speranza, dettata dall’incessante ricerca di qualcosa di buono anche quando tutto sembra ostile, ma ormai anche la speranza fatica ad emergere e la rassegnazione, lenta ma inesorabile, prende il sopravvento:
Penso che andrò giù al bar stanotte
E berrò fino a fare il pieno
E spero che quando sarò vecchio non mi metterò seduto a ripensarci
Ma probabilmente lo farò
Già, seduto a cercare di ricatturare
Un poco della gloria passata, ma il tempo fugge via
E ti lascia senza nulla, amico, se non
Noiose storie di giorni di gloria
Si fa fatica a credere che la gioiosissima Glory Days contenga invece un messaggio così duro, eppure è così.
Se potessimo leggere i testi di tutte le canzoni di Born in the USA senza pensare alle musiche che li accompagnano, una e una soltanto sarebbe l’immagine che si staglierebbe nella nostra mente: un uomo solo.
Lo Springsteen di Born to run inseguiva un sogno, quello di Darkness on the edge of town aveva sbattuto il muso con la dura realtà, quello di The River cercava rifugio in una famiglia. E lo Springsteen di Born in the USA è un uomo straziato dalla solitudine: senza una casa, senza una famiglia, senza una donna al fianco, abbandonato dagli amici, senza lavoro, senza tutele.
La levità delle musiche diventa quindi un necessario contrappeso alla crudezza delle liriche, un’astuta dissimulazione attraverso cui Springsteen ha cercato di edulcorare un disco altrimenti tra i più disperati della sua discografia. E l’epico tour che ne seguì (circa 160 concerti in 15 mesi, praticamente uno ogni tre giorni) sembra quasi il disperato tentativo di affogare questa straziante solitudine in un bagno di folla ripetuto e rinnovato sera dopo sera, concerto dopo concerto.
Born in the USA è senza alcun dubbio il suo disco più famoso e con ogni probabilità senza di esso Bruce Springsteen non sarebbe diventato il Boss e oggi – a 30 anni di distanza – non riempirebbe ancora gli stadi. Tuttavia è un disco che ha sempre diviso anche i suoi fan, per la maggior parte dei quali non è il suo album migliore: il trittico delle meravigle – Born To Run, Darkness on the edge of town, The River – viene da molti anteposto a BITUSA sia per bellezza che per importanza mentre i fan più arditi gli preferiscono anche i primi due album in assoluto – Greetings from Asbury Park e The Wild The Innocend and the E-Street Shuffle – per la loro carica di geniale e innovativa musicalità.
Strana sorte, quindi, quella di Born in the USA: amato da chi non l’ha mai ascoltato fino in fondo ma snobbato da chi lo ha ascoltato fin troppo bene. Tuttavia resta un disco memorabile, una pietra miliare del rock.
Neppure io lo considero tra i suoi album migliori ma ho sempre considerato una virtù la dicotomia tra musiche e testi perchè conferisce ad ogni canzone più chiavi di lettura: diverse, contrastanti ma cionondimeno entusiasmanti. Perchè al di là di tutto Born in the USA col suo goffo tentativo di mascherare la solitudine di chi lo canta ha una innegabile virtù: quella di spingerci a lottare per non restare soli
Non resta che ascoltarlo, quindi. E tutto d’un fiato.
Tracklist:
1. Born in the U.S.A. – 4:39
2. Cover Me – 3:26
3. Darlington County – 4:48
4. Working on the Highway – 3:11
5. Downbound Train – 3:35
6. I’m on Fire – 2:36
7. No Surrender – 4:00
8. Bobby Jean – 3:00
9. I’m Goin’ Down – 3:29
10. Glory Days – 4:15
11. Dancing in the Dark – 4:01
12. My Hometown – 4:33
Questo post è da considerarsi un’appendice di 3 vecchissimi articoli che dedicai alla Poetica di Bruce Springsteen, nei quali analizzavo i suoi 3 album principali sezionando le liriche e traendone il messaggio ultimo e definitivo che il rocker del New Jersey intendeva trasmettere. Nel caso non abbiate niente di meglio da fare per i prossimi 10 minuti, eccovi i link:
- La poetica di Bruce Springsteen in 3 passi: “Born to Run”
- La poetica di Bruce Springsteen in 3 passi: “Darkness on the Edge of Town”
- La poetica di Bruce Springsteen in 3 passi: “The River”

Non ci crederai ma proprio la scorsa settimana ho iniziato ad approfondire la mia conoscenza del Boss, spinto proprio dalla tua passione per lui.
Non sono andato in ordine cronologico: ho preferito iniziare dall’album di cui hai parlato meglio, The Rising. Ho quasi finito di ascoltarlo: trovo che perda un po’ di mordente dopo le prime 3 canzoni, ma è comunque un disco gigantesco.
Nota off topic: Contagious è un cesso. Arnold non mena, non spara e non ammazza quasi nessuno; come se non bastasse, il film ha un’impostazione volutamente lenta e malinconica, che è l’esatto opposto di ciò che i fan di Arnold vogliono. Solo a pensarci mi è tornato il nervoso: per calmarmi, ricomincio ad ascoltare The Rising. 🙂
The Rising è, senza alcun dubbio, il disco migliore del Boss negli ultimi 30 anni (dopo BITUSA, per l’appunto). Oddio, Tom Joad sarebbe meglio, ma ha un carattere talmente intellettuale e sofisticato che faccio fatica ad inserirlo tra i suoi lavori migliori.
Hai quindi scelto bene per iniziare, ma potevi scegliere meglio. Di sicuro BITUSA, ma soprattutto gli altri 3 album che ho analizzato (trovi i link in fondo al post).
The rising è un disco complicato perchè parla molto del 11 settembre, io lo trovo molto profondo soprattutto negli ultimi pezzi: you’re missing, the rising, my city of ruins.
Ti consiglio di ascoltare le canzoni leggendo i testi (sempre che tu non conosca bene l’accento del new-jersey e non capisca al volo le parole. Ricordo che nella versione italiana il disco uscì con all’interno due libretti anzichè uno: il primo era quello canonico con i testi e tutti i credits, il secondo era specifico del nostro paese e conteneva tutte le traduzione dei brani. Iniziativa favolosa, che purtroppo non ha avuto più seguito.
Passando a Swarzy: sospettavo che Contagious non fosse un filmone ma che Swarzy non spari non meni e non ammazzi francamente mi lascia di sasso. Se non gli fai fare questo, che lo chiami a fare? Tanto vale prendere un Paul Rudd qualunque…
Parole sante. Per un cesso di film ci vuole una merda di attore, e chi meglio di Paul Rudd? 🙂 Per The Rising ti farò sapere quando l’avrò finito! 🙂
Gran album, a piace davvero tanto.
Pezzo preferito: Working on the Highway
Working on the Highway… dal vivo spacca ma, insieme a Darlington county è uno dei brani che meno preferisco del disco.
Se dovessi scegliere una sola canzone di quest’album opterei per Bobby Jean: perchè parla dell’amicizia in maniera deliziosa e perchè c’ha un assolo di sassafono che ti rimette in pace col mondo. Sarebbe comunque una scelta molto sofferta e, prababilmente, se mi facessi la stessa domanda tra 2 giorni ti risponderei in maniera diversa eheheheheh
Dal vivo a Torino, con la spugna lanciata da Bruce, quanti ricordi…
1988 o 2009?
Nell’88 avevo 3 anni! 😉
ahahahah, ti facevo più vecchio allora!!!!!
Io l’unica volta che son riuscito a vederlo “da vicino” fu al mio primo concerto, nel 99. Stavo proprio in prima fila, sotto a Big Man. Ricordo ancora che durante 10th avenue freeze out Bruce e Clarence si diedero il 5, lì sopra alla mia testa, erano fradici di sudore e gli schizzi zampillarono un po’ ovunque.
Serata memorabile.
Vere esperienze i concerti di Springsteen.
Momenti indelebili, o quasi.
Lapinsù, davanti post come questi, non ho il coraggio di definirmi fan di Springsteen come faccio di solito, perché mi rendo conto che non so niente.
Mi sono davvero emozionato leggendo, e ascoltando, questi tuoi omaggi al Boss e ho deciso che devo assolutamente andarmelo ad ascoltare tutto per benino. Ho la sensazione che in generale sia una di quelle cose giuste da fare nella vita. Meglio tardi che mai.
Zack, non ci sono fan di serie A e fan di serie B.
Ci sono le canzoni, ci sono i nostri cuori e poi ci sono le emozioni che si creano lì in mezzo.
Se ascolti The River ed hai la pelle d’oca, sei un fan, perchè Bruce per 4 minuti ha parlato a te, e soltanto a te, trasmettendoti una emozione unica e irripetibile.
Non so quale parte della sua discografia tu già conosca, ma fa poca differenza: siamo tutti blood brothers, come canta il Nostro nella celebre canzone del Greatest Hits dell’95
Giustissimo.
Ecco, The River è tipo la mia preferita del Boss, per il momento, e la pelle d’oca me l’ha fatta venire più di una volta!
Ma la mia conoscenza si ferma pressoché alle “Greatest Hits”, più qualcosina degli ultimi due album.
Gli ultimi due buttali pure… a parte gli scherzi: Wrecking Ball è un buon disco ma distante anni luce dai suoi migliori. High Hopes fa abbastanza cagare ed è più un riempitivo che altro.
Concentrati sui primi album o, in alternativa, sul live 75-85. L’essenza del Boss è racchiusa tutta lì.
PS: vedi che siamo blood brothers? tra oltre le 500 canzoni che ha pubblicato ne ho beccata una che ti piace… e non è nemmeno tra le sue più famose!!!!!
Ah che bello, avevo paura di dirlo io che High Hopes faceva cagare. Mi sono abbastanza forzato ad ascoltarlo, perché cavolo, era “il nuovo album del boss!!” e pensavo di trovarci qualcosa di buono…e invece no!
Ma comunque sì, ovvio che da adesso mi concentrerò su quel periodo lì degli inizi! 😉
Intanto mi hai già mandato in fissa con Blood Brothers…non la conoscevo, ma adesso non riesco a smettere di ascoltarla!!!!
Su High Hopes mi espressi in maniera abbastanza negativa l’anno scorso:
https://lapinsu.wordpress.com/2014/01/24/high-hopes/
Blood Brothers è una gran canzone: musicalmente sposta poco (il Boss ha fatto di molto ma molto meglio), ma il testo… ddio il testo…. da pelle d’oca.
Le canzoni di Bruce sull’amicizia si sprecano (su BITUSA, come ho scritto sopra, ce ne sono addirittura due) e toccano sempre corde emotive dolcissime e sensibilissime.
Ho recuperato questa stupenda versione di blood brothers
YESSS!! In realtà per me è la prima versione che ho ascoltato! Ahahah! Meravigliosa!
In metereologia, con il termine “tempesta perfetta” si suole indicare la coincidenza di tutti i fattori che possono rendere un uragano il più distruttivo possibile, ossia la massima forza scatenata nel punto più vulnerabile di una ragione.
Da qui, discenede anche il significato metaforico di massimo effetto ipotetico possibile di un fenomeno.
Quando prendiamo un post, pubblicato sulla piattaforma WP, da un blogger amico (verso il quale quindi si nutre già simpatia di base e nei cui confronti si è dunque già ben disposti), scritto su un argomento che il blogger in questione conosce molto bene e di cui è anche molto appassionato, impaginato con dovizia di filmati esplicativi, senza paura di usare le giuste parole e le giuste spiegazioni, con tutti i riferimenti del caso, giudizi critici ad hoc e senza mai, nemmeno per una riga o parola, scivolare nel vanaglorioso autocitazionismo o nel roboante superlativismo assoluto (tanto adolescenziale), ecco, in quel caso abbiamo il post perfetto.
Questa volta Lapinsù ne ha scritto uno ed è meraviglioso (io il superlativo lo posso usare perché comprai una tesserina bonus a suo tempo all’atto dell’iscrizione su WP ed ho ancora dei bollini liberi…).
L’effetto primario di un post perfetto è quello di affascinare il lettore anche con un argomento di cui questi non potrebbe essere meno interessato.
E’ accaduto a me e sono certo accadrebbe a chiunque: malgrado i miei compagni di università a suo tempo mi costringessero ad ascoltare le loro lodi sperticate a Springsteen e malgrado il mondo intero lo consideri un big del rock, io di lui non ho mai posseduto nemmeno un mp3 scaricato abusivamente.
Eppure ora, per effetto del post perfetto, mi ritrovo a cercare nei motori di ricerca i suoi brani, come una cavia da laboratorio colpita da un impulso comportamentale a cui non riesce a sfuggire.
Si, perché il post perfetto è anche uno strumento di dominazione di massa, ma Pennesi non lo sa ancora, forse lo intuisce, ma non ha ancora compreso a fondo quanto potrebbe essere vicino un suo “reich” personale, altrimenti completerebbe uno dei suoi romanzi, l’ultimo iniziato chiaramente, qualcosa del tipo “Una vita in zona Cesarini“, Sellerio Editore, 325 pagine oppure “Corner, racconti brevi dalla bandierina” Adelphi, 385 pagine.
Ribadisco: li comprerei.
Se dici Tempesta Perfetta mi viene inevitabilmente in mente il film Wolfgang Petersen, che vidi costretto da mia moglie (all’epoca fan accanita di Georgeone Clooney) ma che, contro ogni pronostico, apprezzai per la resa drammatica, per l’interpretazione (perchè secondo me Clooney quando non fa troppo il gigione è un bravo attore e le performance in Paradiso amaro e Le idi di marzo lo comprovano) e per il finale.
Tornando in tema: mi è sempre stato difficile spiegare cosa sia per me Bruce Springsteen e cosa rappresenti. Ci ho provato con una serie di post autobiografici anche qui, ma quando li rileggo ho l’impressione di non essere riuscito nell’intento. Di Springsteen amo la musica, amo la filosofia, amo il personaggio, amo la semplicità. Credo che in lui abbia sempre riconosciuto una figura paterna, è questo il punto. Potrà suonare molto adolescenziale, quasi infantile, ma io gli voglio bene anche se lui nemmeno sa che esisto. Ma la mia non è una forma di idolatria malsana (o almeno così mi piace sperare) ma semplicemente un sentimento generato dalla riconoscenza perchè con le sue canzoni mi ha regalato così tante emozioni positive, così tanti momenti di conforto e di allegria, che non posso non volergli bene.
Detto ciò, mi fa piacere che la mia analisi ti abbia incuriosito e spinto ad ascoltare qualche canzone. Perchè condividere una cosa che si ama con un amico è sempre una grossa soddisfazione.
Quando parlavo di post perfetto, dato l’argomento, mi riferivo proprio alla tua speranza che potesse trasparire dalle tue parole il tuo vero intento, ossia appunto quello di trasmettere giammai “malsana idolatria” (che infatti non arriva), ma curiosità e stimolo; inoltre, il vero motivo del mio interesse per il rock man in oggetto, è nato proprio dalla tua capacità di avermi altresì trasmesso il “trailer” di quella filosofia che sottotraccia anima le canzoni del boss, la sua visione della vita, dell’amore, della lotta e della (perché no) “resistenza” ai dolori della società civile.
In questo, Bruce sembra davvero erede di quella tradizione rock e folk di storytelling e canziniere che fu dei maestri del country, del blues ed ovviamente del rock (passando ovviamente per Bob Dylan): ognuna cantava l’america dei suoi tempi.
Ho già recuperato parte delle sue canzoni e me le sto un po’ organizzando, usando anche i tuoi post precedenti per fare ordine… ci metterò un po’ ma è già una mia conquista.
Agli esordi la sua casa discografica lo pubblicizzava come “nuovo Dylan” cosa che a lui sempre dato fastidio. Il paragone non è casuale anche se dal punto di vista lirico Dylan gli è superiore. Tuttavia il Boss ha dalla sua la capacità di essere più diretto e di raccontare una realtà di più immediata comprensione.
Ovviamente considerami a tua totale disposizione per chiarimenti e consigli: conosco la musica di Springsteen meglio di casa mia 😀
PS: per curiosità, cosa hai recuperato fino ad ora?
Non sono andato in ordine.., ho saltato di netto tutti gli anni ’70 (The Wild the Innocent, Born to Run, Darkness…), perché volevo arrivare subito agli anni ’80 e sono partito dal doppio “The River” (proprio perché doppio e perché il primo post-viet-nam, inoltre “hungry heart” la conoscono anche gli ignoranti di Springsteen come il sottoscritto…) ed ho già “Nebraska” (lo so che non c’entra nulla, ma ho adorato il film e così per simpatia… poi cronologicamente segue il doppio), poi passerò al fondamentale “Born in the USA”, da lì vedrò…
Cerco di essere sintetico, anche se quando c’è di mezzo Springsteen è dura per me :-D.
The River è un gran disco, sicuramente quello con lo spettro musicale e lirico più ampio visto che contiene 20 canzoni. Tuttavia la produzione musicale degli anni 70 è quella più vispa e innovativa, anche se forse di più difficile ascolto.
Passiamo a Nebraska: non ho visto il film ma so che non c’entra nulla con l’album del Boss. Tuttavia, proprio da una canzone di Nebraska (Highway Patrolman) è tratto un bellissimo film diretto da Sean Penn: The Indian Runner, tradotto nel pessimo “Lupo solitario” (questa voce ti potrà essere utile per aggiornare il post dei titoli tradotti ad minkiam). Il cast è semplicemente mostruoso ( https://it.wikipedia.org/wiki/Lupo_solitario_(film) ) , il film un filmone (ma io sono di parte, è chiaro).
Quando nel post ho scritto che con Nebraska Springsteen ha raggiunto il culmine della sua vena poetica non parlavo a caso. La canzone da cui è tratto Indian Runner ne è la prova e il film ne è una diretta emanazione.
Tra l’altro, e questa è una chiosa molto cinefila, nelle liriche del Boss ho sempre trovato tanti aspetti cinematografici e le sue canzoni da cui poter trarre delle pellicole sono decine. Ora che ci penso potrei anche scrivere un post su sta roba, ma ci vorrà del tempo perchè il materiale è veramente tanto e collegarlo è un impresa titanica.
Invece sarebbe un gran cosa, magari fatto con calma ed a puntate… tanto non è un commento “instant” del tipo finale di serie o nuovo attore per il rebbot ennesimo dello straminchiesco arrampicamuri…
Bellissimo articolo sul “Boss”! Grazie
Grazie mille!!! Ma quando si parla del Boss è più facile scrivere belle cose perchè il soggetto aiuta e non poco 😉
”Born in the USA” versione acustica, lui da solo sul palco, è stata l’apertura memorabile del memorabile ritorno in Italia – Firenze 2003. Che concerto, quella volta. Riportato a forza on stage DUE VOLTE dopo la chiusura ufficiale, 25 canzoni, oltre 3 ore tirate. I soldi meglio spesi di tutta la mia vita. (Anche perchè entrato di straforo nel sottopalco transennato.)
E il commento epico del fan di lunga data che avevamo di fianco – ”Si è imborghesito, una volta sforava abitualmente le tre ore e mezza senza problemi…”
Il concerto del 2003 a firenze lo mancai, ma mi rifeci pochi giorni dopo a San Siro, con l’epico concerto del 28 giugno sotto la pioggia torrenziale.
Born In the USA acustica invece l’ho beccata al mio primo concerto in assoluto: Bologna 1999. Era una delle prime tappe del Reunion Tour con la E Street Band e in quel periodo il Boss non eseguiva più BITUSA full band (riprese solo col The Rising Tour, salvo poi sospendere quando scoppiò la guerra in Iraq) e ci regalò una toccante versione acustica, con lui da solo sul palco.
Ho sempre avuto l’impressione che lui nutra nei confronti di questa canzone amore e odio al contempo: amore perchè gli ha garantito fama imperitura, odio perchè probabilmente in pochi l’hanno capita sul serio…
Ah, tra l’altro, visto che sono entrato in modalità fandom e sto imbrattando i commenti di chiose da fanatico, aggiungo qui una cosa che mi sono scordato di inserire nel post: la canzone BITUSA fu scritta in origine su richiesta del regista Paul Schrader per un film sui reduci del Viet Nam, ma poi Bruce la tenne per sè. E comunque il film non vide mai la luce.
Complimenti per il tuo articolo, che mi è stato segnalato e che ho letto con molto piacere. Sono pienamente d’accordo con quanto hai scritto e aggiungo che il mio disco preferito del Boss è prprio Nebraska. Highway Patrolman è la mia preferita in assoluto e penso anche io che in questo disco Springsteen abbia raggiunto il suo apice, nella combinazione tra i testi (sempre stupendi anche nel resto della sua discografia) e la musica.
In Born in the USA la mia preferita è Downbound Train, di solito sottovalutata perchè troppo triste.
Infine condivido con te il ricordo del concerto bagnato a San Siro nel 2003. C’ero anche io lì, a inzupparmi nel prato insieme a migliaia di persone e al Boss e ne ho parlato in un articolo sul mio blog.
Nebraska è un disco monumentale, su questo non si discute.
La sua crudezza lo rende forse poco ascoltabile, ma emoziona come pochi altri.
E’ uno dei pochi dischi di Bruce del quale ho conosciuto prima i testi che le musiche e mentre li leggevo avevo come l’impressione di essere davanti a mirabili sonetti.
Ehi Lap, mi stai regalando un lato che non conoscevo!
… Guarda che se mi continui ad essere così profondo ed introspettivo rischi di scivolare dalla parte della barricata di quelli come me definiti “un po’ pallosi”! Eh eh eh 😀
Mi fa piacere scoprire anche questo tuo lato così profondo, complimenti, penso che il vecchio Bruce non abbia tante recensioni così ben scritte e sentite! 😉
quando c’è di mezzo il Boss divento un altro 😀
Allora mi fa piacere condividere con te una delle sue canzoni che più mi emozionano (te lo avevo detto che sono un romanticone!) 😉
Se ti vuoi giocare la carta della romanticheria, allora io mi gioco due carichi da 11:
e soprattutto
Grandi!!! 😀
Ottima scelta Lap! 😉
Ottima analisi dell’album, rende ancor più l’idea di quanto sia un grande album rock. Ma quanto è bella la versione live di Bitusa di Londra 2013? praticamente snobbata tra il 2007 e 2009 per poi riproporla con una ritrovata carica.
Non so dire quanto l’empatia generata dal fatto di “esserci” condizioni il mio giudizio, tuttavia ti confesso che l’esecuzione di tutto BITUSA a San Siro nel 2013 paga da bere alla versione (Proposta poi su High Hopes) proposta ad HydePark.
Sarà che i londinesi sono “un filino” più freddi di noi italiani e questo Bruce lo percepisce, sarà che San Siro è una location unica, sarà che questi video da Hyde Park hanno un po’ stufato, sarà – come dicevo – il mio ricordo di quella magica serata di inizio giugno, tuttavia i brividi che mi dà riascoltare l’esecuzione di quel disco nel bootleg di Milan non hanno eguali.
Discorso a parte l’esecuzione e la qualità di BITUSA (la canzone, non il disco).
Nel mio primo concerto del Boss (nel lontano 99) la esegui in versione acustica, una versione ancora più cruda e tagliente di quella inserita in Tracks. All’epoca Bruce sembrava voler prendere le distanze dal suo successo più noto in quanto ne era stato frainteso il patriottismo orgoglioso (fraintendimento che comunque lui aveva alimentato, ma questa è un’altra storia). Se ti capita di recuperare il libro SONG (edito nel 98) ti sarà chiaro ancor di più che lui pur sentendosi in debito con quella meravigliosa canzone non riusciva più a sentirla minimamente sua.
Tornò a eseguirla full-band nel tour di The Rising (nel dvd “Live in Barcellona” ne trovi una potentissima versione) tuttavia la tolse subito dalla scaletta non appena gli USA iniziarono la seconda guerra del Golfo.
Da allora ha ripreso ad eseguirla con costanza soltanto durante il WB Tour, mentre in tutti i tour precedenti (Magic e WOAD) la canzone apparve solo raramente.
Tieni conto che io ho visto 8 concerti Bruce e ho avuto la fortuna di sentirla full band solo negli ultimi due…
Se poi devo esprimerti un giudizio sulla versione che prediligo in assoluto è ovviamente quella presente nel Live 75-85: l’assolo di chitarra finale mozza il fiato.