Mi innamorai di Sherlock Holmes in terza elementare.
Galeotto fu il sussidiario di italiano che riportava un racconto di Sir Arthur Conan Doyle dal titolo fascinoso: L’avventura del carbonchio azzurro. Benchè il testo fosse stato rimaneggiato ed adattato per renderlo fruibile a un bambino di 8 anni, inalterata restava l’atmosfera di felpata elettricità che, come presto avrei scoperto, scorre in tutti i 56 racconti e 4 romanzi del Canone. Per innamorarmi bastarono poche righe, probabilmente poche parole, e da allora il sentimento di ammirazione ed affetto per Sherlock Holmes non è mai diminuito.
Quando ancora frequentavo le scuole elementari gli scrissi una lettera che indirizzai al leggendario 221b Baker Street, Londra, Regno Unito: non volevo sottoporgli un caso investigativo – grazie al cielo ho trascorso un’infanzia serena – bensì ringraziarlo per quello che faceva e per la gioia che mi dava leggere delle sue gesta. Pochi giorni dopo, mentre giocavo nel cortile dietro casa, raccontai della lettera a mio cugino più grande: lui mi prese in giro e poi, con quell’adorabile sufficienza mascalzona che non l’ha abbandonato nemmeno da adulto, mi liquidò con un’acida stilettata che fa male ancor’oggi: Sei proprio uno stupido! Non lo sai che Sherlock Holmes non esiste?
Era estate, ma il sangue mi si gelò nelle vene, un brivido mi scosse tutto e le mie membra, d’un tratto intirizzite, iniziarono a tremare nervosamente.
Il dramma fu totale, irreversibile.
Si dice che il lutto abbia 5 fasi ma io non ho superato neppure la prima, la negazione: infatti non mi sono mai rassegnato al fatto che Sherlock Holmes sia solo un personaggio letterario partorito dalla fervida fantasia di Conan Doyle e che non sia REALMENTE vissuto. Deve esistere, il mondo ha bisogno di Sherlock Holmes, IO ho bisogno di Sherlock Holmes, è questo l’unico pensiero che so formulare. Fu così che all’età di 9 anni decisi che io mi sarei preso cura di lui e che l’avrei mantenuto in vita ad ogni costo, almeno nei miei pensieri e nel mio cuore.
Recuperai tutti i libri di Conan Doyle e li lessi, li rilessi, li rilessi e li rilessi ancora (Il segno dei quattro l’avrò letto almeno 10 volte) nella convinzione che a furia di ripetere le sue storie nella mia testa queste potessero trovare il modo di divenire reali, di trasformarsi da pensieri in fatti. Per rendere l’esperimento ancora più potente, provai pure con i romanzi apocrifi – la bibliografia di Holmes ne è piena – tuttavia quei racconti mi lasciavano sempre un retrogusto amaro in bocca e una strana sensazione di disagio che mi scivolava lungo la schiena, furtiva, come se mi stessi macchiando di un gravissimo peccato: non potevo inquinare il Canone. Trovai consolazione con altre innumerevoli riletture ma ben presto tornai in crisi di astinenza e non sapevo più dire se era Holmes ad avere bisogno di me o io di lui: ormai ero affetto da sherlockite cronica.
Se il confine tra realtà e finzione è labile in un libro, figuriamoci in video dove la potenza dell’immagine sovrasta i nostri pensieri, pertanto quando scoprii le magistrali interpretazioni di Holmes fornite da Jeremy Brett andai letteralmente in estasi. Mi assale una profonda e dolcissima nostalgia se ripenso ai passi felpati con cui raggiungevo il salotto dopo la mezzanotte e mi sintonizzavo su RaiTre per vedere Le Avventure di Sherlock Holmes, col volume al minimo per non farmi scoprire da mia madre. Quella con Jeremy Brett è forse la trasposizione filmica più fedele ed ossequiosa del Canone di Conan Doyle, un meraviglioso tributo che seppe scuotere ancor di più l’animo di un ragazzino incapace di rassegnarsi alla triste realtà che tutto fosse finzione.
In seconda liceo il morboso amore per Holmes incontrò le folli e strampalate idee di un diciassettenne che sognava un futuro da romanziere e giornalista. L’unione partorì una manciata di brevi racconti dove il nostro eroe dapprima sventava l’attentato a Francesco Giuseppe scongiurando così la Prima Guerra Mondiale; mai domo, smascherava il Re d’Inghilterra per un omicidio commesso in gioventù e poi non rammento più quale altre diavoleria mi fossi inventato. Ma i sogni fecero presto a pugni con l’evidenza e così, frustrato dalla sciatteria e dalla banalità di quelle pagine, bruciai tutti i manoscritti nel caminetto.
Fu con il diploma che credetti di potermi rassegnare, accettare una volta per tutte che Holmes fosse solo un personaggio di fantasia, elaborare finalmente il lutto e infine placare la sete dei suoi racconti. L’università, gli amici, le serate, le ragazze: avevo trovato validi argomenti con cui distarmi. Ogni tanto avevo qualche ricaduta: talvolta la domenica mi alzavo presto per vedere un cartone su RaiDue, Sherlock Holmes – Indagini dal futuro, oppure rileggevo un paio di racconti del Canone, ma poi mi sentivo in colpa come un tossico che si fa una pera dopo mesi di astinenza. Per fortuna tutto tornava subito alla normalità e le ricadute si fecero sempre più sporadiche.
Mi consideravo guarito finchè un giorno scoprii una nuova serie-tv: The Mentalist.
Il protagonista – Patrick Jane – è un consulente della polizia e si finge un sensitivo: le sue scoperte sembrano frutto di poteri paranormali ma in realtà egli non fa altro che applicare alle indagini la logica deduttiva di Sherlock Holmes. Non potete immaginare la gioia, l’entusiasmo e l’euforia con cui divorai un episodio dietro l’altro la prima stagione di The Mentalist: non era Sherlock Holmes, ok, però era come Sherlock Holmes. Lasciare a bocca aperta colleghi e criminali con folgoranti deduzioni, notare particolari che sfuggivano agli altri, sciorinare una conoscenza profonda e accurata sulle branche più disparate del sapere umano (dalla botanica alla letteratura, dalla criminologia alle scienze sociali). Mentre guardavo certe scene mi sembrava quasi di sentire in sottofondo gli striduli del violino di Holmes o assaporare l’odore aspro del tabacco della sua pipa.
Di colpo precipitai di nuovo nel tunnel della sherlockite e impellente tornò il bisogno di nutrirmi alla fonte di Conan Doyle: rispolverai i vecchi libri e diedi inizio all’ennesima rilettura. Insaziabile, recuperai un sacco di film con Holmes protagonista passando da autentichi gioiellini come Soluzione settepercento a o opere di rara brillantezza come La vita privata di Sherlock Holmes di sua maestà Billy Wilder fino ad autentiche schifezze come Il mistero delle calze di seta con Rupert Everett. Addirittura, senza più alcun tipo di freno inibitore, arrivai a vedere TUTTI i vecchi film con protagonista Basil Rathbone, scoprendo così un cinema odoroso di naftalina, che nel XXI secolo può sembrare elementare e scolastico ma che sa purtuttavia trasmettere immagini potenti e pensieri profondi.
Stavo diventando scemo.
O forse già lo ero.
E le cose peggiorarono perchè, all’improvviso, Cinema e Televisione riscoprirono il personaggio di Holmes dopo anni di oblio, mandando così la mia sherlockite totalmente fuori controllo: divoravo la seconda stagione di The Mentalist e poi, sempre in bilico tra il disappunto e il gradimento, guardavo il brillante Sherlock Holmes di Guy Ritchie; senza soluzione di continuità mi abbandonavo all’estasi suscitata da Sherlock, meravigliosa serie tv che ha l’immenso merito di aver saputo omaggiare e al tempo stesso innovare il mito di Sherlock Holmes creandone una memorabile sintesi moderna; con meno entusiasmo ma sempre con costanza guardavo pure Elementary, altra gustosa serie tv che, pur tradendo l’origine del personaggio, sa essere gradevole. Mi risparmiai solo il Dr. House perchè i medical-drama mi restano proprio sullo stomaco.
A quel punto ero ufficialmente sherlock-dipendente. E quando scoprii Psych rischiai seriamente di restarci secco.
Psych è una serie tv deliziosa nella quale i contorni del giallo si amalgamano mirabilmente con la commedia. Shawn Spencer possiede le stesse identiche spiccicate virtù analitico-deduttive di Sherlock Holmes ma si finge un sensitivo (pure lui!) e collabora con la polizia insieme all’inseparabile amico Gus: il tono della narrazione oscilla tra la brillantezza e l’intelligenza trovando un equilibrio quasi magico mentre le esilaranti gag dei due protagonisti danno un tocco di impareggiabile leggerezza. Il “fattore Sherlock Holmes” resta sullo sfondo ma è pur sempre efficace ed è ovviamente imperdibile per un tossico come me.
Se mai ho pensato di poter guarire dalla sherlockite e di poter accettare Holmes solo come personaggio letterario, ho capito che non sarebbe mai stato possibile quando ho scoperto Mr. Holmes. Ricordo ancora perfettamente la sera di metà luglio in cui, poco prima di coricarmi, beccai un tweet di Sir Ian McKellen
La stanchezza scomparve all’istante e il sonno si diradò. Il desiderio, anzi no, il BISOGNO di scoprire di più su questo film si impadronì di me come un demone tenendomi sveglio per ore alla ricerca di informazioni. La regia di Bill Condon, il racconto apocrifo di Mitch Cullin, l’interpretazione di quel mostro sacro che risponde al nome di McKellen: l’hype fu immediato, totale, irrefrenabile. E’ inutile sottolineare che Mr. Holmes finì immediatamente al primo posto della mia watchlist. Da allora anelo la visione di questo film ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Ed eccomi qui, a 36 anni suonati, eccitato più di un bambino la mattina di Natale al sol pensiero di vedere un lungometraggio di 103 minuti con protagonista un personaggio di fantasia.
Fantasia. Ma poi siam sicuri che sia veramente un personaggio di fantasia? Perchè l’eccitazione che mi scuote per questo film è reale, perchè il piacere che mi attraversa ad ogni rilettura è reale, perchè l’affetto che provo per Holmes e per Watson è reale, perchè il dispiacere che mi opprime quando Sherlock si lascia andare al vizio della cocaina è reale, perchè la simpatia bonaria che mi ispirano Mrs. Hudson, Gregson e Lestrade è reale, perchè il fascino irresistibile di Irene Adler è reale, perchè le sue deduzioni così semplicemente perfette sono reali, perchè l’armonia dei racconti di Doyle è reale, perchè l’emozione che mi scorre sotto la pelle ogni volta che leggo di lui non solo è reale: è travolgente. Ma allora, se tutto quel che concerne la mia esperienza di Sherlock Holmes è reale, perchè lui deve essere solo un personaggio di fantasia? Non è più facile il contrario? D’altronde, una volta eliminato l’impossibile ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.
Elementare, Lapinsù.
Per chi volesse saperne di più circa le trasposizioni filmiche del personaggio di Sherlock Holmes rimando a questo post dell’amico Kasabake che, a tutt’oggi, considero l’articolo più bello mai pubblicato sulla piattaforma wordpress di questo mondo e di tutti gli altri mondi conosciuti.
Hallo! Se tutto andrà bene, avrò una chicca per te al riguardo verso la metà di dicembre. 😛
Mchan
Ah, non vedo l’ora amica cara!!!!!
Resto sintonizzato, allora!!
Ottimo articolo, complimenti. Mi è piaciuto molto il modo in cui hai unito tue esperienze personali e soggettive con l’elenco delle varie trasposizioni di questo personaggio letterario (pardon, storico 😉 ).
Personalmente considerando le ultime personificazioni preferisco la versione di Cumberbatch a quelle di Miller (troppo leggerina per i miei gusti) e Downey jr. (troppo spaccona ed esagerata, mi sembra di vedere Tony Stark), ma lì ovviamente dipende dai gusti di ognuno.
Indubbiamente tra gli interpreti moderni, Cumberbatch paga da bere a tutti, ma proprio tutti.
Tuttavia il mio preferito resta Jeremy Brett, che impersonò Holmes tra gli anni 80 e 90: quei telefilm dal gusto deliziosamente retrò e ossequiosamente fedeli al canone, brillavano soprattutto per la sua interpretazione schietta, appassionata e convincente. Se ti capita, ti consiglio vivamente di guardarli
Complimenti per il post che risalta le tue capacità nel raccontare e nello scrivere. Rende piacevole la lettura anche a chi , come me (chiedo venia!) non è un grande fan di Sherlock Holmes ….
C’è sempre tempo per rimediare, amio mio.
E per te che, come dimostrano i tuoi post letterari, sei un avido lettorere saresti sicuramente avvinto dalla letture dei racconti di Conan Doyle 😉
Purtroppo ne parlo a ragion veduta: da ragazzino avevo un “trip” per tutto ciò che era English, quindi lessi i racconti di Sherlock Holmes, Agata Christie, ecc.. , ma fatalmente, intorno ai sedici anni fui rapito da tutto ciò che arrivava da oltre oceano e sinora la febbre non è ancora terminata……
Ovviamente i gusti son gusti.
Ma forse rileggendoli ora, con la maturità raggiunta, potresti trarre un’impressione diversa.
Io stesso, ho variato molto la mia considerazione sui racconti di Doyle nel corso degli anni e delle riletture.
Io Holmes l’ho scoperto questa estate, sto finendo il gigantesco Mammut della Newton in cui è raccolta tutta l’opera del “Canone”, appunto.
Ancora qualche racconto (sono al penultimo libro) e dovrei aver finito. E’ davvero diverso da come me l’aspettavo, sono stato rapito dalla prima pagina. Ora ti capisco perfettamente.
Si, le trasposizioni filmiche tradiscono (poco o molto) il personaggio, le storie, le ambientazioni.
I racconti di Doyle restano di un altro livello e la loro lettura nel migliore (il tuo) dei casi avvince, mentre nel peggiore (il mio) rende dipendenti 😀
Sir Arthur Conan Doyle è per me in letteratura ciò che Lapinsù è in Word Press: un nume tutelare.
Non parlo di quelle divinità che, statiche, ti osservano dalla mensola, dove omaggiano in silenzio ed inattive le foto dei tuoi cari defunti o quei gattini cinesi con la zampina alzata, che dovrebbe augurati buona fortuna e nemmeno i capoccioni sorridenti dei giganteschi buddha, che dovrebbero alleviare le tristezze creando una serena giustificazione agli infiniti dolori dei popoli asiatici, oh, no, io parlo di quella straordinaria combinazione di potenza elettrica e vigore intellettuale, quella meteora futurista, un quadro di Boccioni in movimento, un viso preso di tre quarti che si gira di scatto e porta con sé il ricordo del profilo precedente, la folgore dell’intelletto che ammalia il lettore con la sua prosa e lo invita a giocare, scivolando assieme per un pendio divertente, ma sempre aggrapparti ad un corrimano, fatto di concetti reali e parallelismi con altre evenienze della società intorno a noi.
Quando scrissi e buttai, nel mare vastissimo della rete, un mio personale atto d’amore verso l’eroe letterario, televisivo e cinematografico di Sherlock Holmes, nato dalla potente penna di Conan Doyle, non sapevo che, in quell’immensità di dati, sull’altra riva, un pescatore sopraffino avrebbe preso all’amo tale mio ricordo e lo avrebbe glorificato, allora come oggi ed in modo anche da destare imbarazzo sentito in chiunque non sia davvero solo un gigantesco crogiolo di prosopopea e vanità da restare indifferente!
Lapinsù è come l’agente K che salva il mondo e tiene il dolore della morte del padre di J per sé per tutta la vita ed ho la gioia di colloquiare con lui spesso e volentieri, magari proprio per rinfocolare la nostra comune passione sull’investigatore sociopatico funzionale (definizione del grande Moffat).
Sottoscrivo ogni singolo rigo di quanto scritto dall’esimio collega e certo che egli coglierà la citazione, lascio questo commento dicendo che oggi, dopo tutto quello che si è visto al cinema ed in Tv, tra omaggi, copie, interpretazioni fedeli e sfacciati tradimenti, la scena che più mi rappresenta nel cuore la figura del moderno Holmes, penso che sia l’espressione del viso e la frase che Cumberbatch pronuncia, dopo aver rapidamente esaminato un cadavere lasciato all’ aperto ed aver alzato gli occhi al cielo, in modo apparentemente scollegato da qualsiasi altro ragionamento e lasciando tutti i presenti, non solo impietriti per la deduzione, ma anche perplessi perché completamente all’oscuro perisino del fatto stesso, una frase detta in risposta all’interrogazione datta dall’ Ispettore Lestrade su cosa il nostro detective dilettante pensasse del corpo esaminato, una frase in cuis egli disse semplicemente “il quadro del Vermeer è un falso”.
Ti voglio bene Lapinsù.
Per natura non sono molto sensibile ai complimenti: lo spirito critico che mai riposa tende a vagliare qualunque informazione e classificarla e di conseguenza anche i complimenti vengono assoggettati a questo freddo processo matematico.
Tuttavia essere paragonato a Sir Arthur Conan Doyle mi ha fatto sobbalzare, ha creato un cortocircuito nei miei penseri impedendomi di giudicare, classificare, sistemare. Come una cometa è apparso in cielo ed io non posso che ammirarne la splendida bellezza. Ovviamente non senza ringraziare chi quella cometa l’ha messa in cielo, forse in un raptus di follia, ma comunque come segno d’affetto, che sentitamente contraccambio.
Nel gioco di citazioni sherlockiane, al tuo sublime rimando all’altrettanso sublime scena di The Great Game (terzo episodio della prima stagione di Sherlock), io rispondo con una citazione letteraria, tratta da un racconto di Conan Doyle. Anzi, da due racconti!
Infatti sono due i racconti che il Baronetto di Sua Maestà inizia con la stessa identica scena: Holmes e Watson che siedono in saloto entrabi silenziosi finchè Holmes non riesce a rispondere alla domanda che Watson aveva formulato solo nei suoi pensieri. Watson, al solito, resta stupito dall’acume dell’amico e, al solito, resta a bocca aperta quando l’amico gli svela il trucco: una lettera scritta sullo scrittoio, un po’ di terra sui pantaloni identica a quella sul selciato dell’ufficio postale, il toccarsi nervosamente la ferita in guerra, il seguire lo sguardo che ballonzola tra le pareti della stanza.
Nessuna lettura del pensiero, quindi, ma semplice deduzione.
(chiedo venia ma non ricordo a memoria il titolo dei racconti che hanno questo incipit, ma sono certissimo che siano 2. Uno mi sembra sia l’ultimo o il penultimo racconto de “Il taccuino di Sherlock HOlmes”, ma potrei sbagliare. Probabilmente tu hai più memoria di me per queste cose).
PS: la tua citazione dell’agente K h qualcosa di fantascientifico. Ora non puoi capire, ma in futuro – quando leggerai un mio post già programmato – capirai. Sappi solo che questo post non l’ho scritto dopo aver letto questo tuo commento 😉
Sono , treno. Non ricordo nemmeno io i titoli dei due racconti ma ricordo benissimo la scena e ricordo anche di come io e mia moglie demmo anche un volto ai due amici ed ovviamente Holmes era il nostro Brett… scena sublime…
Non vedo l’ora di leggere anche il post programmato di genere fantascientifico…
Che bello! Viva Lapinsù! Viva Sherlock Holmes! Post meraviglioso!
Adoro anche io le avventure di Holmes, come ho adorato The Mentalist e Psych (Psych! ahhh quant’era divertente quella serie! ma ti ricordi che in una puntata di non ricordo quale stagione veniva fuori che Shawn era un fan sfegatato proprio di Mentalist e cercava spoiler su internet?? risi tantissimo).
Un giorno mi deciderò a recuperare tutti i film con Basil Rathbone (ho visto solo Il mistero del carillon, non mi chiedere perché proprio questo) e magari anche tutti i libri (ho letto solo qualche racconto da ragazzino).
Intanto spero di spararmi al più presto Mr. Holmes, anche se per questo film nutro non pochi timori.
In realtà la puntata di Psych cui ti riferisci tu (quella in cui Shawn parla di Patrick Jane) ha una doppia chiave di lettura: la produzione di Psych ha sempre attaccato Bruno Heller accusandolo di plagio (di fatto, i Shawn e Jane hanno tantissimi punti in comune). Non so se le cose siano poi finite in tribunale, sta di fatto che trale produzioni dei due show non è mai corso buon sangue. E quella citazione mascherava la critica dietro una falsa adulazione.
Detto ciò ti straconsiglio di recuperare i film con Rathbone più tutti quelli citati sia nel mio post che in quello che ho linkato in fondo di kasabake.
Solo un film mi sono dimenticato: dissacrante e meraviglioso. Senza indizio, questo è il titolo, e qui trovi la mia rece vecchissima https://lapinsu.wordpress.com/2014/11/20/senza-indizio-ovvero-la-dissacrazione-elevata-ad-arte/
Poi se riesci a recuperare anche l’opera omnia di Doyle dedicata a Sherlock, il cerchio sarebbe perfettamente chiuso ed anche tu finiresti all’interno della setta dei malati di Holmes .-D
Uh non sapevo che ci fosse questa tensione fra i due show! Ho dato un’occhiata veloce in rete e da quello che ho capito la faccenda non è mai arrivata in tribunale. Poi ho realizzato che le battute su The Mentalist presenti in Psych sono addirittura una manciata (ovviamente, su youtube si trova un video supercat con tutte le suddette citazioni) e nonostante una consapevolezza diversa, fanno comunque scompisciare, anche perché sono appunto sempre sottili e mai aggressive.
Comunque sì, un giorno riuscirò a recuperare tutto, è un’obbiettivo che mi sono posto già da anni. Riguardo Senza indizio, ne ho sentito molto parlare, con pareri piuttosto contrastanti, ma a questo punto, visto anche il cast coinvolto, me lo procuro subito. 😉
Senza indizio è un gioiellino e se ha saputo convincere un iper-tradizionalista come me (quando si parla di Holmes sono peggio di un Talebano) significa che è fatto proprio bene.
Su Psych: credo sia una delle serie tv con la sceneggiatura più brillante degli ultimi anni: ogni dialogo trasuda ironia e intelligenza, nessuna scena è mai banale. Un altro autentico gioiellino.
Bellissimo post, complimenti. Adoro la serie con Jeremy Brett. Trovo che sia un capolavoro. Ricostruisce perfettamente le atmosfere create da Sir Arthur. La tua dichiarazione d’amore per Holmes mi ha fatto tornare alla memoria una strepitosa versione del “Mastino dei Baskerville” prodotta dalla Hammer. Strepitosa.
Brett… lo adoravo, lo adoro tuttora. Mi ha sempre strutto il fatto che si sia ammalato e sia scomparso prematuramente, interrompendo la produzione della serie.
Tra l’altro proprio ieri ho visto Mr. Holmes e l’interpretazione di McKellen (sontuosa e magistrale) è un continuo tributo proprio a quella storica di Brett.
Ti consiglio di sbrigarti ad andare in sala perhè la distribuzione è raffazzonata e a singhiozzo.
Come al solito la distribuzione cinematografica lascia a desiderare! Ogni tanto passa dal mio siterello, magari trovi qualcosa di interessante. Complimenti ancora per l’articolo, mi è piaciuto davvero tanto.
oh, non mancherò: mi sembra molto interessante!!!!
Anch’io adoro la figura di Sherlock Holmes, anch’io aspetto con ansia il film Mr. Holmes (ovviamente, nonostante sia già in diverse sale italiane, qui a Taranto non c’è alcuna traccia del detective…) e appena avrò modo di vederlo al cinema, scriverò una recensione, questo è certo. Questo articolo è un elogio appassionato nei confronti di un personaggio, di un idea, quella originaria di Doyle, ma è soprattutto un racconto dei tuoi, con un carattere autobiografico, scritto benissimo, molto interessante e piacevole da leggere. Complimenti!
Grazie dei complimenti Davide, al solito sei molto gentile e generoso 🙂
Io Mr. Holmes l’ho visto venerdi sera. Sto pensando di scriverne ma non una recensione in senso stretto (che poi le mie non sono mai recensioni in senso stretto…) bensì qualcosa di diverso, più emotivo che altro. Ma sarà dura, perchè il film non è affatto banale e nei suoi confronti nutro un ossequioso rispetto.
Gran bell’articolo. Personalmente adoro Sherlock Holmes (anche se, lo ammetto, non a livelli maniacali come te). Sto pian piano recuperando tutti i racconti e romanzi del Canone (sono arrivato al Mastino dei Baskerville) e mi stanno davvero conquistando.
Parlando di The Mentalist, che dire… ho adorato le prime tre stagioni (soprattutto la prima), dopodichè a mio parere è sprofondato miseramente in un abisso di mediocrità e monotonia, tanto che, una volta conclusasi la storyline de Red John, ho smesso di guardarlo.
Non ho mai visto Psych ma ora mi hai fatto venire la curiosità.
Su The mentalist si potrebbe scrivere a pacchi.
Concordo: la prima stagione è fenomenale. Brillante, innovativa, intrigante, con un character (Patrick Jane) memorabile. Lo show però si è perso per strada a mio parere logorato dall’intenzione di inseguire la storyline di Red John all’infinito. Testimonianza ne è che quando, a metà della sesta stagione, Patrick scova Red John e lo uccide, e subito dopo viene rimescolato il cast e fatto partire una sorta di spinoff (che durerà per la metà restante di stagione più la settimana) lo show abbia recuperato in parte la brillantezza delle origini perchè, libero dai vincoli della storyline con Red John, è potuto tornare ad essere un procedural grintoso e intelligente, ironico e leggero.
Sono molti gli show che inseguendo discutibili trame orizzontali, rovinano il plot della trama verticale che li aveva resi grandi. E The Mentalist, come scrivi tu, ne è uno dei più fulgidi esempi.
Maestro, i miei rispetti!
Penso di non aver mai letto o sentito una celebrazione talmente bella di un personaggio letterario! 🙂
Holmes per me è come un amico di vecchia data….