Knight of Cups

La primissima volta in cui cenai dai genitori di Romina trovai ad accogliermi una tavola imbandita con ogni tipo di pesce. La signora Menichelli dopo aver pulito, spinato e marinato ogni genere di pesce, aveva arrostito scampi, fritto i calamari, lessato i merluzzi, pepato le cozze, spellato le anguille, insaporito gli sgombri. Ad occhio e croce doveva aver cucinato almeno metà della popolazione ittica del Mare Adriatico. Mi accolse con un sorriso stanco ma estasiato: era la prima volta che sua figlia portava a cena un fidanzato e ci teneva a far bella figura.

La signora però non sapeva che il pesce mi disgusta e io non lo mangio mai, piuttosto patisco la fame. Ovviamente Romina si era ben guardata dall’avvisare la madre del piccolissimo inconveniente così da giocarmi un bello scherzetto. Avrei dovuto capire già allora che con lei mi stavo cacciando in un gran bel guaio…

Conscio che rivelare il mio disgusto per il pesce avrebbe potuto indurre la mia futura suocera ad impiccarsi seduta stante annodando l’anguilla in un cappio attorno al collo, optai per il male minore: tacqui.

In capo a pochi minuti furono espletati tutti i convenevoli e mi trovai seduto davanti ad un piatto traboccante schifezze del mare. Lacrime e nausea già rischiavano di sopraffarmi, così mi armai di tanta acqua, tanto pane e ancor più coraggio. La strategia si rivelò efficacie: boccone di pesce-cacca, morso di pane e infine lungo sorso d’acqua per ingollare il tutto senza masticare. La sofferenza era indicibile, quindi accelerai le operazioni perchè il supplizio finisse il prima possibile e in breve il mio piatto fu vuoto.

Ce l’avevo fatta! Avevo mangiato tutto il pesce!

Ma le grida di giubilo mi morirono presto in gola.

Non appena la signora Menichelli vide il piatto vuoto si avvicinò a me: –Oh Gianni, hai già finito tutto! Sono contenta che ti sia piaciuto. Tieni, prendine ancora!– e senza darmi il tempo di poter opporre una qualche timida protesta, mi riempì di nuovo il piatto con le schifezze del mare.

Trattenni a stento le lacrime.

Recuperai altro pane, sostituii l’acqua col vino e ripresi in mano la forchetta, infine mi inflissi il supplizio una seconda volta. In silenzio ed ormai incapace di nascondere la sofferenza che scolpiva rughe di disgusto sul viso, conclusi tutte le tappe di quella orribile via crucis senza lamentarmi. Probabilmente fu quella sera che Romina si rese conto di quanto (tanto) tenessi a lei.

Sono dovuti passare oltre 15 anni perchè potessi vivere di nuovo un’esperienza altrettanto schifosa, ma se allora fu il nascente amore per colei che sarebbe divenuta la mia compagna di vita ad alimentare il coraggio, ignoro del tutto quale Potere Oscuro mi abbia indotto a vedere fino alla fine Knight of Cups.

Dopo To the wonder mi ero detto Basta, non vedrò mai più un film di Terrence Malick, tuttavia il masochismo e la curiosità sono due poli magnetici in grado di scatenare energie incontrastabili che mi spingono alla visione di queste schifezze. D’altronde è risaputo che i demoni delle dipendenze sono subdoli e potenti: se ogni ubriacone ha un’infinità di ultimi bicchieri e se ogni fumatore ha innumerevoli ultime sigarette, io ho perso il conto dei questo è l’ultimo film di merda che vedo.

Devo riconoscere che Knight of Cups è il perfetto paradigma della cinematografia di Malick: cast sensazionale, inquadrature sbilenche, voci fuori campo, zero trama, primi piani su piedi e polpacci, finale di merda. Non manca niente. Veramente. Già immagino le schiere degli “espertoni intellettuali che di cinema ne capiscono“, tutti gasati per magnificare quest’obbrobrio: amici miei, la cacca puzza e fa schifo, sempre. Anche quando la fanno Margot Robbie o Scarlett Johansson. Figuriamoci quando è Malick ad evacuare uno scempio come questo…

Voto: 3

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47 pensieri su “Knight of Cups

  1. Mi hai fatto tornare alla memoria quella volta a casa della mia prima fidanzata: mi offrirono un hamburger scongelato che una volta tagliato grondava sangue. Io non sono stato garbato come te e l’ho lasciato lì. Ad ogni modo credo che mangerei quell’hamburger piuttosto che vedere un film di Malick. La visione di un suo film la considero un karakiri occidentale.

    1. Ma non ti piace la carne? O solo quella al sangue?

      Comunque su Malick hai ragione. E’ uno strazio per gli occhi e per le palle. Eppure non riesco a tener fede ai miei propositi… tant’è che ho scaricato il suo nuovo film (Song to song) e so che prima o poi lo guarderò….

      1. La carne mi piace tutta, ma scongelata male proprio no.

        Di Malick non ho visto tutto, e ho ancora il dvd La sottile linea rossa da vedere. Nonostante le ottime recensioni ho comunque una gran paura.

      2. Non essendo portatrice di palle ho apprezzato alcuni film di Malick e soprattutto La sottile linea rossa così come Song to song non mi è affatto dispiaciuto.

        Quanto la tortura della prima cena mia madre mi raccontava che a mio padre furono serviti dei pomodori al riso ma che pur odiando i pomodori mangio fingendo talmente bene che mia nonna glieli proprinava ogni volta che era invitato… ah non ci sono più gli uomini di una volta.

        Sherasenzapallemenorodimenti

        1. Daspiterina, pienissima e completissima solidarietà al tuo babbo, sherazade!!! Io mi sono “rivelato” dopo alcuni anni, al matrimonio di un cugina di Romina, ma per fortuna nel frattempo mia suocera non aveva più cucinato pesce 😀

          Per quanto riguarda Malick, io lo digerisco proprio male, anche i suoi film più acclamati. Incapacità mia, ovviamente, perchè il cinema troppo sofisticato mi resta sempre ostico.
          Citi SONG TO SONG, che ho scaricato qualche settimana fa senza però trovare ancora il coraggio di guardarlo. Dovrò provare, mi sa, visto mai che alla fine non trovi un film di Malick che mi piaccia?

          1. Potresti trovarlo almeno digeribile Ma se non ti piace Malik certamente non cambi idea e neppure Gosling e Fassbender credo facciano al caso tuo Ma per ragioni diverse molto molto il caso mio😋
            Sheramentrefuoridididiluvia

  2. Nel cupo ed austero “The Tragedy of Julius Caesar“, scritto a cavallo tra il 1500 ed il 1600, il grande William Shakespeare metteva in scena, con l’orazione funebre di Marc’Antonio, in onore dell’appena assassinato Giulio Cesare un capolavoro di retorica oratoria che divenne immortale: senza mai, nemmeno una volta, criticare o sbugiardare Bruto (uno dei congiurati che uccisero Cesare), Marc’Antonio parla lodando ciò che Cesare era stato, decantandone la grandezza mentre contemporaneamente enunciava i motivi per cui era dovuto morire; a parole declamava adesione alla congiura ma nell’animo glorificava il dittatore ucciso.

    Perché dico questo? Perché noi lettori siamo tutti partecipanti di un tuo delizioso gioco, in cui ti diverti costruendo un meraviglioso artifizio (un restigio, direbbero i fratellini Nolan) dove uccidi un santo e ne dichiari l’ignominia, lasciando contemporaneamente aperta una via d’ingresso per chi volesse difenderlo e questa porta è proprio il pesce.

    Non so quanto consciamente o inconsciamente (o anche in quella meravigliosa fusione di entrambi i casi, per quella sorta di dormiveglia in cui spesso ti muovi nell’indecisione costante tra Arte e Mercato, tra notte e giorno) tu abbia deciso di iniziare la tua stroncatura di un film come “Knight of Cups” parlando della tua idiosincrasia per il pesce, ma di certo l’effetto finale è straniante, perché il pesce, è risaputo, è considerato una prelibatezza da milioni di persone (equamente divise oltretutto in palati di cartone e raffinati buongustai, visto che si parla di un consumo di circa 15 chili annui a persona come media mondiale… dati FAO), ma anche un cibo che ha fortissimi detrattori, persone ossia che molto semplicemente lo odiano…

    Ma come parlare male di qualcosa che si odia, quando nessuno ce la impone? Insomma, tutti sorridiamo quando nelle commedie occidentali (solo quelle, perché solo nei paesi ricchi si può ridere del cibo, quando il resto del mondo soffre la fame) e nei cartoni animati i bambini fanno i salti mortali per schivare i broccoli… perché sono verdura, non sono dolci, non hanno il sapore dei grassi saturi e combusti, non hanno il sapore piatto e fortissimo del bacon (che gli statunitensi mettono ovunque, anche sul gelato), perché sono salutari per dei genitori che vedono tutto in modo semplicistico (è verdura, è verde, fa ben, punto), ma sono sgraditi ai bambini… Ma cosa accadrebbe se nessun genitore li imponesse ai bambini? Come odiare ciò che sta là, lontano da noi, che non ci influenza, che non ci tocca? Persino i ragni, creature così anatomicamente diverse da noi, da essere in cima alla classifica degli animali per noi orrorifici, vengono a cercarci nelle nostre case quando non li vorremmo nemmeno vedere… ma Malick, no, lui non ci cerca e nemmeno il pesce.

    Ritorniamo al pesce: il tuo aneddoto è una metafora stupenda, mascherata da esempio con cui riesci a parlare in doppio codice, come quel detective che per avere risposte in un bar frequentato da camioniusti e boscaioli del nord degli USA, entra con passo da cowboy, si tocca i coglioni per sistemasi l’armamentario, chiede un whiskey e fa battutacce sulla cameriera formosa, sorridendo complice agli altri avventori… mimetizzandosi come uno di loro, ma in realtà assumendo un ruolo…

    (da lontano mi sembra di dire lapinsu che mi dice “grazie per le parole amico, per Shakespeare, per Giulio Cesare e blà blà, ma a me il film ha fatto davvero cagare… Sul serio…” ed io lo guardo sorridendo con una smorfia e gli faccio cenno di tacere)

    Una metafora, dicevo, perché hai sapientemente scelto un film che non ha davvero diviso il pubblico (lo avranno visto in quattro gatti, di cui due siamo io e te), che non ha fatto scandalo: parlare male di “mother!“, l’ultimo film di Aronofsky (strombazzatissimo e riproposto dai suoi attori in mille featurette in giro per gli studi televisivi), ad esempio, avrebbe significato invece schierarsi contro un film che ha tra le sue caratteristiche negative proprio quello di voler provocare a tutti i costi, trasformando lo spettatore in un idiota, con metafore talmente evidenti, che il fingere di tenerle nascoste è offensivo, così come la volontà di scandalizzare chi oramai non si scandalizza più.

    Parlare male di Malick è un po’ sparare sulla croce rossa, perché con la sua trilogia esistenzialista (The Tree of Life, To the WonderKnight of Cups) si è giocato anche gli ultimi spettatori indulgenti che non lo amano davvero, voltando le spalle definitivamente a coloro che non lo hanno mai amato davvero ma che fingevano di apprezzarlo e capirlo solo per moda o per darsi un tono: come fece Lynch con il suo criptico, visionario ed assolutamente all’antitesi della ruffianeria “Inland Empire”, co questo film Malick è partito del tutto per quella tangente da cui difficilmente si può fare ritorno, spogliandosi nudo di fronte al pubblico e senza dare più nulla nemmeno ai critici tradizionali che pur lo avevano osannato fino a poco tempo prima.

    L’incalzare drammatico del resoconto del tuo sacrificio d’amore che ti ha portato a mangiare un cibo che per te era orrorifico, ma che non era davvero tale (giacché per altri era verosimilmente una leccornia strepitosa… anch’io al solo leggere di scampi, calamari fritti, impepata di cozze, avevo l’acquolina in bocca!) è un gioiello: ti sei descritto come uno di quei sommozzatori del film di Cameron che resistono istintivamente al liquido che sta entrando nei loro polmoni, nel film di James Cameron The Abyss, vivendolo con dolore, ma che permetterà poi lor di respirare sott’acqua e così tu, per amore, hai mangiato cose meravigliose (oggettivamente) che ti fanno schifo (libertà del de gustibus)!

    Insomma, se ti avessero costretto, in un rituale magico o in un sequestro di mafia o in un campo di prigionia, a mangiare merda, allora l’effetto sarebbe stato lo schifo da parte del lettore e poi certamente la compassione ed infine l’empatia e la stima per il sacrificio, ma immaginarti “[…] seduto davanti ad un piatto traboccante schifezze del mare […]” è spassoso, proprio per l’assurdità e la potenza della visione: ciò che non è schifoso lo diventa nelle tue parole e questo è certamente molto di più di ciò che in genere si legga nel web ed anche sui giornali!

    Ora, quindi, starò al gioco e farò l’avvocato del diavolo, senza decantare troppo il film (perché, come dirò più avanti, non è decisamente tra i miei preferiti di Malick), ma facendo un po’ l’espertone intellettuale che di cinema ne capisce, ovviamente sorridendo anch’io, ma sempre mettendo i puntini sulle “i”, perché è il mio ruolo e tu mi hai chiamato a questo!

    Si, perché si sappia che questo “Knight of Cups” non è film qualsiasi, ma (con la scusa di narrare la storia di uno sceneggiatore cinematografico crisi d’identità) è un film costruito come un percorso frammentario, armonico e dissonante assieme (per molti, quindi, indisponente), punteggiato di feste ed immersioni nell’inutilità assoluta, intervallato da domande appositamente lasciate senza risposta, che si potrebbero equivocare come un dispetto per farci innervosire e su tutto appare un catalogo impressionante di meravigliosa femminilità recitativa, fotografato in modo sublime dal maestro dei maestri Emmanuel Lubezki: Natalie Portman, Imogen Potts, Cate Blanchett, Isabel Lucas, Freida Pinto, Teresa Palmer, per non parlare degli interpreti maschili…

    Insomma, un collage scollegato, frutto di un Malick a mio avviso completamente rapito da un delirio personale che gli impedisce oramai di produrre film completi e che, da genio qual’è, lo costringe a restare schiavo di una sorta di continua incompletezza, come accadde a Michelangelo negli ultimi anni della sua vita, quando in ogni sua scultura si vedeva la mano dell’artista immortale, ma anche il segno del suo fallimento a portare a compimento l’opera.

    Ne parlai proprio poco tempo fa, con il nostro comune amico Wayne di questo fatto: di come alcuni cineasti, assolutamente considerabili dei geni della settima arte, cadevano ad un certo punto in una sorta di delirio solipsistico, come se qualcosa trasmettesse loro l’impossibilità a lavorare in compiutezza e per entrambi noi due Malick rientrava perfettamente in questa speciale categoria.

    Vedi, caro amico e collega blogger, nonché eminente ermenàuta, io non considero “Knight of Cups” un filmone e nemmeno un bel film (non brutto quanto “To the Wonder“, sia chiaro!), anzi lo considero cinematograficamente un fallimento, ma ho ugualmente un grandissimo rispetto per esso e per il suo creatore, come per chiunque metta in gioco tutto se stesso, anche in preda a d un delirio come quello sopra descritto, senza nemmeno pavoneggiarsi in pubblico, sapendo che se solo volesse potrebbe essere in grado di realizzare opere assolutamente mainstream e gradite al grande pubblico o anche solo ad una platea appena più ampia, come dimostra lo spot realizzato quest”anno dal nostro per Guerlain, con protagonista Angelina Joilie, dove tutta la sua perizia è al servizio di un copione e di un decoupage scritto da altri, così che la sua estetica raffinatissima si inchini forzatamente ad una logica narrativa (in questo caso la vendita di un profumo):

    Quando parlo di Malick, io parlo di un campione di onestà artistica, di un cinema molto (forse troppo) personale, che non obbliga però nessuno a vederlo, ma che piace agli estimatori: Malick non ruba soldi allo stato (non prende soldi della nostre tasse per finanziare i suoi film) e non costringe nessuno a vederlo e non sempre raccoglie messe di premi ai festival (senza ossia sottrarre visibilità a giovani artisti più meritevoli), ma solo quando è il caso, come per il suo capolavoro “The Tree of Life“.

    Per Knight of Cups, ha impiegato nove settimane di riprese e ben due anni in sala di montaggio: un lavoro immenso, una specie di viatico religioso (la sua ossessione) che nessuno gli ha chiesto, a cui nessuno lo ha costretto e che si è autoimposto, come una flagellazione.
    Ad ogni attore Malick ha consegnato solo il proprio monologo e nessuno di loro ha mai potuto vedere l’intero copione o conoscere l’intera trama: un modo di lavorare discutibile? Non saprei, non direi, almeno quanto può esserlo dire ad un pittore come dipingere un quadro… lo si lascia fare e poi lo giudicherà il pubblico.

    Fortunatamente, infatti, siamo in un regime li libertà culturale, dove ci sono tantissimi stimoli, tantissime mode e tantissime tendenze e nessuna al momento davvero imperante; inoltre, quello di Malick è un modo di fare cinema che non ti urla nelle orecchie e negli occhi per essere visto, perché lui è schivo, non è presenzialista, non fa polemiche nei festival ed infine non crea un battage pubblcitario in cui le sue opere vengono presentate per ciò che non sono.
    Quindi, a mio avviso, per lui dovrebbe valere il detto “vivi e lascia vivere“.

    Ci sono artisti, al contrario, che a scuola mi furono praticamente “imposti”: scrittori che era obbligatorio leggere e musicisti che era necessario sentire e questo fatto, invece di farmeli comprendere meglio, me li ha resi invisi; stessa sorte per quei romanzieri considerati addirittura benefattori dell’umanità, perché con i loro libri avrebbero contribuito alla salvezza dell’animo umano o perché così tanto impegnati civilmente e politicamente da doverli assumere come un farmaco!
    Ecco, in quel caso mi si è sviluppata una sorta di idiosincrasia, tale da non farmi nemmeno vedere le cose davvero buone che ognuno di essi aveva, ma con Malick no, poiché, voglio ripetermi, egli è davvero l’esempio di un cinema fatto solo per l’amore per l’arte, senza obblighi, senza ruffianeria, senza imbrogli, senza trappole, al pari di quello di Lynch: due modi di fare cinema che si possono riassumere con una semplicistica del tipo “Non ti piaccio? Non guardarmi, perché io non farò nulla per farti cambiare idea

    1. “Quando un commento è più lungo del mio post, allora vuol dire che ho fatto un bel lavoro”.

      Perdonami se mi pavoneggio, ma leggere questo tuo meraviglioso commento scioglie tutti i dubbi che fino a stamane mi tormentavano circa l’opportunità di pubblicare questo articolo giacchè è scritto molto di pancia (più di avrei voluto senz’altro) e non solo per il tema culinario che lo attraversa, ma per il tono e la prospettiva da cui è declamato.
      Come sai (perchè te lo dissi in tempi non sospetti) lo scorso anno scelsi di aggiustare tiro del mio blog, alzare l’asticella, lasciare al cervello più spazio che alla pancia, anche quando trattavo argomenti molto poco intellettuali (Come l’ultimo post su Baywatch.
      Tuttavia, l’animo burlesco è una parte di me che posso controllare, ma non censurare. E pubblicare questo post era uno sfogo necessario, non solo per quelli che l’hanno preceduto, ma soprattutto per quelli che verranno…

      Ma non voglio tediarti oltre con le mie perverse fantasie di editore e redattore del blog gestito da me medesimo, se l’ho fatto era solo per contestualizzare (ne parlavamo giusto ieri della contestualizzazione…) questo post.

      (Da buon ermenauta ho scritto alcune centinaia di parole senza rispondere a nessuno dei temi da te trattati nel commento: immagino sarai orgolioso di me)

      Passiamo dunque al film e al mio post.
      In tutta onestà, non conoscevo nè la genesi tribolata del film nè se la critica l’avesse accolto più o meno piacevolmente. Conosco però il gradimento che Malick sempre (di solito?) riscuote negli ambienti cinematografici più intellettuali e nobili (parlo dei gruppi di persone che VEDONO i film, non di quelli che li FANNO). E da questo è partita la mia metafora: il pesce che è universalmente un piatto ricco e ricercato nonchè graditissimo a quasi tutti, è invece per me la summa di tutte le schifezze commestibilim, esattamente come Malick e il suo cinema non per me indigeribili, ancorchè non possa non riconoscerne l’elevato valore artistico che però per me resta assolutamente invisibile (colpa mia, va da sè).

      Mentre scorrevano i fotogrammi del film mi ripetevo di continuo: “Ma perchè lo sto vedendo? Mi ero ripromesso di non vedere più questi film…”. Come sai la mia è curiosità mescolata a bulimia culturale che mi fa divorare tante cose e non di rado poi mi costringe a vomitarle.
      Ma ancor di più, mentre scorrevano queste immagini, mi dicevo che è ingiusto sprecare così tanto talento, sia quello degli attori davanti l’obiettivo sia quello di chi quell’obiettivo lo manovra.

      Sai, Kasa, ho sempre pensato che il talento (artistico, sportivo, professionale, emotivo, etc) sia un dono prezioso da custodire e coltivare. Tuttavia, chi fosse stato oggetto di questo regalo, non solo non dovrebbe mai sciuparlo trattandolo con superficialità, ma neppure dovrebbe lasciarlo affogare nel “delirio solipsistico” di cui tu parlavi saggiamente poco sopra.
      Alla luce di ciò, mentre guaravo Knigth of cups mi torturava la consapevolezza che Malick stia sprecando il suo smisurato talento facendo film totalmente distaccati dalla realtà e dall’arte. Oh, tu mi dirai che è libero di fare quel che vuole, ed hai ragione, amico mio. Tuttavia se Dio o la Natura o le Stelle ti hanno donato la capacità di essere un campione della cinematografia moderna, non hai il diritto di fare un film così, devi invece impegnarti a realizzare quei capolavori che la tua capacità potrebbe permetterti.

      La bellezza nel mondo è sempre troppo poca e chi ha le facoltà di accrescerla – foss’anche di una briciola – non dovrebbe mai esitare a farlo.

      1. Ah, mio carissimo amico! Certo che sono orgoglioso di te, lo sono sempre, ma ultimamente mi strappi davvero applausi a scena aperta!
        Già i tanti errori di battitura del mio lunghissimo commento navrebbero dovuto indicarti come la calma che ha contraddistinto i miei scritti di ieri oggi si stava assottigliando, come il tempo libero a me destinato ed ora mi ritrovo preda dei correttori automatici (sono al pc, grazie al cielo, ma ancora per poco…), perciò voglio usare le ultime stille di tempo per risponderti a mia volta!

        Abbiamo entrambi una cultura umanistica e questo lo si evince dalle nostre argomentazioni e non solo dalle citazioni (google e wkipedia sono là, in bella vista, pronte a sciorinare ciò che si vuole) ma dai collegamenti che vediamo e che facciamo…

        Pur tuttavia alcune differenze, sottili, ad onor del vero, ci spingono talvolta in direzioni diverse, entrambe rispettabilissime, ma anche distinte nella loro stessa ontologia o se vogliamo ragion d’essere.

        E’ una distanza sul perché delle cose e del mondo che no deve mai venire a mancare e che contribuisce a creare lo splendore della diversità (biodiversità, neurodiversità e persino filosofica): insomma non farei mai nulla per farti cambiare idea sulle questioni fondamentali della vita e del cosmo, pur restando anch’io della mia opinione!
        Non sto parlando di Malick in senso stretto (ti piace, non ti piace, chissenefrega) ma ad esempio di un concetto importante come quello che ti sei tenuto per la parte terminale del commento, quando dici “[…] Ho sempre pensato che il talento […] sia un dono prezioso da custodire e coltivare. Tuttavia, chi fosse stato oggetto di questo regalo, non solo non dovrebbe mai sciuparlo trattandolo con superficialità, ma neppure dovrebbe lasciarlo affogare nel “delirio solipsistico” di cui tu parlavi […] Se Dio o la Natura o le Stelle ti hanno donato la capacità di essere un campione della cinematografia moderna, non hai il diritto di fare un film così, devi invece impegnarti a realizzare quei capolavori che la tua capacità potrebbe permetterti.

        E’ un concetto che introduce nell’espressione artistica un vincolo ed un’etica (anch’io ne inserisco, ma non questa) che invece io, forse più caotico, non riconosco come essenziale, pur vedendone la regalità di pensiero: pensa che esiste addirittura una definizione che gli storici dell’Arte usano per parlare di quel periodo terminale di Michelangelo a cui facevo cenno nel mio commento… lo chiamano “non-finito michelangiolesco“, dando ad esso persino un valore artisticamente elevato… Beh, io no: riconosco il valore di una scultura, come l’incompleta Pietà di Palestrina, ma ne vedo anche le mancanze che le impediscono di essere un capolavoro! Allo stesso modo, pur riconoscendo la grandezza e la purezza d’intenti di Malick nel fare un delirio come Kinght of Cups, non posso fingere che sia un bel film, ma ugualmente non farei o direi mai nulla per condannare le sue scelte o che potesse anche solo lontanamente influenzare la sua arte: se Malick uscirà da solo dal suo delirio, significherà che in qualche modo qualche elemento in conflitto nella sua arte ha trovato la pace o la vittoria, altrimenti soccomberà con esso.

        Pazienza!

        Ad maiora, amico!

        1. Quando, dopo un battibecco con mia moglie, torna il sereno dopo la tempesta e lei mi chiede come faccia a sopportare certe spigolosità del suo carattere, io molto paciosamente le rispondo ogni volta che se volessi aver sempre ragione mi limiterei a parlare con lo specchio.

          Non è un caso, quindi, che il cuore di un post che a breve pubblicherò dice più o meno così: “scoprire quale ricchezza si celi nella diversità”.

          Ed è quindi evidente che io non possa che abbracciare l’entusiasta rispetto con cui sposi la causa della diversità e dell’eterogeneità delle idee come motore pulsante della crescita personale e collettiva.

          Tra l’altro, discettando del “talento” emerge anche una differente concezione dell’arte che tu innaffi con l’etica della moralità mentre io la concimo con l’etica del dovere.
          Che poi, morale e dovere non sono necessariamente antitetici, ma non sono neppure la stessa cosa, ed il modo in cui vengono bilanciati, ossia le infinite sfumature che intercorrono tra un polo e l’altro, tendono a definire l’idea che resta pur sempre sfocata perchè di arte stiamo parlando, non di una equazione algebrica.

          Vabbè, caro amico, il tempo è tiranno per tutti ed ora mi devo fermare.
          Sappi per che questi scambi di idee (ieri come oggi) restano sempre piacevolissimi e dal momento che era un po’ che non ci capitava di fare (per possibilità, ovviamente, non per scelta) è ancora più piacevole.

  3. Non credo di aver mai visto un film di Malick, ma l’esperienza di mangiare cibo terribile per secondi fini l’ho fatta – nel mio caso, una pasta con sugo acido di batteria alcalina e ultrapiccante col peperoncino dei Simpson, mandata giù con un’autobotte piena d’acqua solo perché per secondo c’era carne impanata e fritta bene.

    Comunque, articolo molto spassoso – l’anguilla per impiccagione, per me, è la vetta XD – e… andando via, hai detto grazie per tutto il pesce? 😛

    1. zitto va, non mi ci far pensare… quando tornai a casa accarezzai l’idea di lavarmi i denti con la candeggina per togliermi il puzzo di pesce dalla bocca.

      Temetti perfino l’intossicazione alimentare.

      Però ne è valsa la pena 😀

  4. post bellissimo, a tratti mordace e ilare, ma di assoluto rilievo che oltre a sottolineare la verve di Lapinsu nel proporre articoli degni di nota, evidenzia come i blog non siano solo un veloce passaggio di like ma agorà in cui scambiarsi e cambiarsi tra idee, appunti, critiche. Poi non parliamo dell’appassionata e monumentale recensione di kasabake, una chicca assoluta.
    Detto questo a me Malik piace e non posso non essere d’accordo col maestro quando testualmente afferma “””ma con Malick no, poiché, voglio ripetermi, egli è davvero l’esempio di un cinema fatto solo per l’amore per l’arte, senza obblighi, senza ruffianeria, senza imbrogli, senza trappole”””.
    Resto dell’idea che questo blog come quello di kasabake sono -per me- punti di riferimento assoluti in materia di cinematografia.
    Grazie ragazzi e Lapinsù non sai cosa ti perdi nel non mangiare “”un piatto traboccante schifezze del mare”” 😉
    ciao

    1. Caro Sarino, le tue parole oltremodo gentili nei miei confronti mi riempiono di orgoglio.
      Per una volta non voglio neppure schernirmi quindi accolgo i tuoi complimenti con piacere e li faccio miei, come propellente per i futuri lavori, che spero saranno da te egualmente graditi.

      Per quanto riguarda Malick, avete senz’altro ragione tu e Kasa ma, come per il pesce, anche le più squisite leccornie possono essere indigeste…
      C’è poco da fare, con me il caviale non funzionale, io sono un tipo “pane e salame”… è questo il problema 😀

        1. ah, la Calabria, terra meravigliosa.
          Tutti gli anni mi dico di andarci, poi la distanza (abito nelle Marche) e la famigerata Salerno-ReggioCalabria mi distolgono verso lidi più vicini.
          Tuttavia una volta soggiornai per un paio di giorni a Cosenza (ahimè le ragioni erano di lavoro) e da allora la Calabria è per me la terra coi funghi più buoni che abbia mai mangiato (e dire che prima di allora neppure avrei creduto che in Calabria crescessero funghi…)

          Comunque, prima o poi verrò, è un punto d’onore. Se non altro per mangiar di nuovo quei funghi prelibati…

  5. ecco se dovessi ritornarci fatti un giro sulla costa Jonica, non te ne pentirai!
    Unico neo il pesce, che sulla costa (come logica vuole) abbonda 😉 🙂
    ciao

      1. buon appetito alla moglie ma anche a te, non c’è solo pesce! A parte il salame ti consiglierei (ma solo a Catanzaro e in periodo invernale però) u morzeddu -carne di maiale mista a frattaglie varie, cucinata per ore con salsa e tantissimo peperoncino piccante. Una vera delizia!
        P.s. mi sa che farò un post dedicato alla mia terra, mi hai fatto venire “voglia”

          1. ricordati però che solo Catanzaro (e in alcune zone della provincia ) è la sua vera culla. In estate sarà difficile trovarlo a meno che non capiti in qualche sagra che propone anche questo piatto tipicamente invernale.
            P.s. la “u” è l’articolo per indicarlo (come dire il), il nome è solo morzeddu

  6. la bellezza di quella terra è l’assioma montagna-mare nel giro di pochi km, come -forse- nessun altra regione può proporre.
    Antiche e bellissime le Serre come pure l’Aspromonte (che già dal nome ricorda una terra aspra e selvaggia) per non parlare della Sila. Ma anche il mare, bellissimo e a tratti ancestrale, spiagge in cui la storia ha trovato lidi e vita (Ulisse approdò da Nausicaa, abitante proprio in quel golfo che fa da cornice al mio piccolo paese), la Magna Grecia che vide proprio in quei posti la propria splendida culla, e tanto altro ancora.
    Ciao e scusami questa “deviazione” ma al cuor non si comanda 🙂

    1. Non ti devi scusare, la storia e la geografia della Calabria mi ha sempre affascinato.
      Conosco la zona più litoranea solo di fama mentre ho potuto sperimentare di persona, come ti dicevo, il fascino selvaggio dell’entroterra silano.
      Dovrò rimediare prima o poi 😀

  7. Anche a me talvolta capita di recensire un film partendo dal racconto di una mia esperienza personale. Anzi, ti svelo un segreto: quando faccio così, spesso quell’introduzione autobiografica è stata scritta molto tempo prima della recensione vera e propria, ed è rimasta ad impolverarsi nella casella bozze della mia posta elettronica finché non ho trovato un libro o un film a cui poterla legare.
    Ad esempio, in questo momento nella casella bozze ho ben 2 introduzioni: una in cui parlo di una vacanza a Udine, e un’altra in cui parlo di una mia ex collega un po’ bruttina, che però esercitava su di me un’attrazione irresistibile.
    Anche uno dei miei post più fortunati (https://wwayne.wordpress.com/2016/09/03/io-e-valeria/) aveva quest’impostazione. Tuttavia, quando faccio questi post – Frankenstein (metà recensione, metà racconto autobiografico) raramente sono soddisfatto del risultato: spesso infatti tra la prima e la seconda parte del post c’è uno stacco troppo netto, e il collegamento logico tra di esse è troppo artificioso.
    Il tuo post invece non presenta nessuno di questi difetti: al contrario, il parallelismo tra la sofferenza provata a dover ingoiare il pesce e quella sperimentata nell’ingoiare Malick è molto pertinente. E al di là del contenuto, di questo post ho apprezzato soprattutto il tono leggero, il tuo saper essere ironico anche quando non cerchi la battuta.
    Riguardo al pesce, è uno dei cibi in cui l’abilità del cuoco fa più la differenza. Infatti molti pesci (il merluzzo, il persico, la platessa, i totani) sono abbastanza insipidi, e quindi soltanto un maestro dei fornelli riesce a condirli e cucinarli in maniera tale da renderli gustosi.
    Mia madre non è una cuoca eccezionale, ma ha questo talento nella preparazione del pesce, e quindi lo mangio con grande piacere almeno una volta a settimana. Ti consiglio di fare lo stesso, per un motivo puramente sanitario: anche se non ti piace infatti il pesce fa benissimo al cervello, all’intestino e all’organismo in generale, e quindi è opportuno inserirlo anche sporadicamente nella propria dieta.
    Malick invece non va inserito in nessuna watchlist, anzi la sua sola presenza dietro la macchina da presa dovrebbe indurre anche il cinefilo meno esigente a virare su qualsiasi altro titolo (foss’anche Natale in India) fuorché il suo. Così ho fatto io con Knight of Cups, sebbene annoverasse nel cast Imogen Poots, un’attrice così tenera che si taglia con il grissino, così dolce che mi fa sciogliere soltanto a guardarla. Tanto immagino che Malick le abbia riservato qualche inquadratura (sghemba) e poco più.
    P.S.: Mi fa molto piacere che negli ultimi post tu abbia ricominciato a ricevere un numero congruo di commenti. Non capivo come mai il tuo blog fosse entrato in un’immeritata crisi da questo punto di vista, ma ho sempre avuto la convinzione che l’avresti superata. E il fatto che tu abbia ottenuto circa 30 commenti in un giorno parlando di un film autorale come Knight of Cups me ne ha dato la conferma definitiva.

    1. La tensione creativa che precede la scrittura di un post è un processo sempre molto personale. Le idee, le parole e le emozioni sono come elettroni che girano vorticosi intorno ad un nucleo prima di scaricare la propria energia. Ognuno ha il suo modo, tutti sono corretti.
      Vedo Centinaia di film l’anno, ancor più episodi di serie TV eppure ne recensisco poche decine perchè solo con alcuni scatta la scintilla, ovvero quell’impulso primordiale che è la mia idea di post. Talvolta si tratta di un frase attorno cui costruisco un ragionamento (è il caso del post di Dunkirk, che è nato partendo dalla frase conclusiva), talvolta è un’emozione (come mi capitò con il post di Manchester by the sea), altre volte il desiderio di affrontare una tematica complessa (il post sul Tredicesimo piano) altre volte ancora un ricordo personale (come in questo post) che mi sovviene mentre guardo il film e che poi diventa l’incipit dello recensione.
      Che poi, al solito, trovo pretestuoso definire i miei post “recensioni” perchè non lo sono nè in senso stretto nè in senso ampio. Di base, per me il cinema è solo un pretesto per scrivere, un trampolino da cui saltare per poi iniziare a piroettare aggraziato ma molto più spesso anche scomposto e goffo. Benchè il mio blog potrebbe essere tranquillamente classificato come “blog cinefilo” e i tag, le categorie e gli argomenti trattati suffragherebbero la tesi, nei singoli articoli parlo più di me che di cinema, il che potrebbe apparire anche un po’ imbarazzante ed egoista, ma tant’è.
      Detto questo, passo a ragionare su due tue considerazioni.
      Come spiegavo sopra a Kasabake, per me Malick si rende colpevole di un gravissimo delitto, ovvero sciupare il suo smisurato talento per realizzare queste ciofèche autoreferenziali. Potrebbe fare cinema grandioso, non dico per forza mainstream, ma grandioso eppure si arrovella dietro a a ragionamenti sincopati che poi sono alla base di schifezze come questa. Voglio dire, un film girato in 2 mesi e montato in 2 anni ha qualcosa che non va….
      L’altra considerazione che hai fatto, sul declino dei commenti, è effettivamente inoppugnabile. Ti dico di più, a differenza dello scorso anno sono calate anche le visite globali, pur essendo aumentati i like ai miei articoli. Confesso però che da un lato il fenomeno era ampiamente previsto: come accennavo sopra, il desiderio di innovare e “alzare l’asticella” quest’anno mi ha spinto a realizzare post che affrontano tematiche più serie, lasciando meno spazio all’ironia o a post più “marchettari” di quanto invece abbia fatto in passato. Insomma, ho cercato di dare “un tono”, accompagnare il lettore non solo in stanze scintillanti e divertenti, ma anche in antri oscuri dove trovare il tempo per fermarsi e riflettere: è normale che un percorso di questo tipo raccolga meno successi. D’altro canto, inoltre, il minor coinvolgimento dei lettori non mi turba affatto e lo ritengo fisiologico giacchè come sempre accade quando la questione si fa un po’ più complicata, molti preferiscono defilarsi o hanno timore ad esprimere le proprie opinioni (ovviamente non c’è né critica né disappunto in questa considerazione finale, ma solo una constatazione di fatto anche perché chiunque è libero di commentare se e come vuole)

      1. Anch’io l’anno scorso ho scritto un post in cui, anziché accompagnare i miei lettori in una stanza scintillante e divertente, ho preferito dirigerli verso un antro oscuro. Ebbene, ti dirò che anche nel mio caso è stata una scelta perdente, perché quel post (https://wwayne.wordpress.com/2016/08/02/un-film-che-ti-entra-dentro/) è stato il peggiore degli ultimi 2 anni come numero di commenti. Inizialmente pensavo che fosse perché l’avevo pubblicato in pieno Agosto, ma nei mesi successivi ho dovuto arrendermi all’evidenza: per quanto tentassi di pubblicizzarlo, quell’articolo non riusciva a sfondare. E infatti da allora ho accuratamente evitato di scrivere nuovamente dei post di quel tipo.
        Da quello che ho scritto finora, capisco benissimo che potrei sembrare un morto di fama, che brucerebbe viva la mamma per 100 commenti e per 200 non chiamerebbe neanche i soccorsi (cit.). Ovviamente non è così: il motivo principale per cui non ho più scritto post in quello stile è la volontà di non deludere il mio pubblico, di far sì che i miei lettori trovino ciò che cercano ogni volta che vengono a trovarmi.
        Riguardo alla svolta del tuo blog, l’avevo notata, e ho notato anche (con mio sommo piacere) che negli ultimi post sei tornato all’antico: è questo il Lapinsù che tutti amiamo. 🙂
        Nota off topic (ma neanche tanto): apprendo con sempre maggior dispiacere le notizie sugli abusi sessuali a Hollywood. Già Weinstein era stato un colpo al cuore, perché sarà pure un porco, ma era uno dei pochi produttori in grado di tirar fuori ogni anno dei film belli e soprattutto ORIGINALI, che non fossero una banale rimasticatura di altri film già fatti in passato. E infatti ha sfornato almeno un capolavoro con tutte e 3 le sue compagnie cinematografiche: con la Miramax ha fatto Will Hunting – Genio ribelle, con la Dimension Films ha fatto Get over it, e con la Weinstein Company ci ha regalato Tutto può cambiare, che resta uno dei pochissimi capolavori che abbia visto in questo decennio.
        Aggiungiamoci poi il suo formidabile fiuto come talent scout: Tarantino l’ha scoperto lui, e se non fosse per Weinstein sarebbe ancora a fare il commesso in una videoteca. Non è vero che i grandi talenti prima o poi escono sempre fuori: il mondo è pieno di Quentin Tarantino, di Michael Jordan e di Francesco Totti che nella vita sono finiti a fare i muratori o i carrozzieri (senza offesa per i lavoratori, per carità).
        Ovviamente mi è dispiaciuto anche per Kevin Spacey. Non era nella Top 10 dei miei attori preferiti, ma sapeva scegliersi i copioni, e quindi era una garanzia: se c’era lui nel cast, non avresti visto un brutto film.
        Dustin Hoffman neanche lo cito: è stato vergognosamente tirato in ballo per una battuta spinta ad una ragazza che faceva la cameriera su un set, e proprio il fatto che sia stato gettato nel tritacarne mediatico per così poco mi fa temere che sia iniziata una vera e propria caccia alle streghe.
        Nonostante provassi dispiacere per i nomi coinvolti, all’inizio ho accolto favorevolmente questo repulisti: pensavo che, se era necessario farlo per rendere Hollywood un posto più pulito e più sicuro per chi ci lavora, valeva la pena di perderne anche 100 di professionisti da premio Oscar. Ma quando ho visto Dustin Hoffman subire una gogna mediatica per così poco, ho capito che la cosa stava sfuggendo di mano, e che Hollywood rischia seriamente di ricadere nell’incubo del maccartismo. Spero sinceramente di venire smentito.

        1. Credo che vada sempre cercato un sostanziale equilibrio tra le aspettative ingeneratenel proprio pubblico ed i propri desideri editoriali. Se pasano troppo le prime si rischia di svuotarsi assecondando i desiderata altrui (ovviamente non è il tuo caso, ma solo perchè sei abilissimo tu) mentre nel secondo caso si rischia di diventare sofistica trombini che moriranno di solipsismo (un po’ quello che succede a Malick, giusto per restare in tema).

          Per me scrivere un posto come questo è abbastanza facile: vedo talmente tanti film di merda facili da sputtanare con una recensione leggera puntellata di qualche battutina salace, che potrei farne una al giorno. Ovviamente non disdegno questo genere di post, però ti confesso che lo trovo molto poco stimolante, di sicuro molto meno che in passato.
          Mi piace sperimentare, improvvisare, mescolare toni e registri diversi.
          Una volta paragonai il susseguirsi dei miei post come la setlist di un concerto: c’è la canzone per saltare e ballare, c’è la canzone da urlare a squarciagola, c’è la canzone da accendere l’accendino e c’è la canzone per riflettere un po’ guardandosi intorno.
          Mi piace pensarlo così e sai cosa ti dico? Alla fine gli sforzi sono ripagati, perchè se anche dimuisce la quanti di commenti, se ne innalza il livello (e questo scambio di opnioni tra me e te ne è la testimonianza perfetta).

          Per questo mi sento di suggerirti di azzaradare più spesso: ne hai le doti e la cultura e magari potresti scoprire che qualche commento in meno sarà compensato dall’aumentata considerazione di te stesso (e se te lo dico è anche perchè quel post che i linkato a me era piaciuto molto, proprio perchè era diverso dai soliti tuoi post).

          Chiudo con il tuo riferimento al caso Weinstein e compagnia bella.
          In realtà immagino che tu abbia già letto i miei commenti al post di Kasabake dedicato all’argomento, quindi non ti annoio oltre.
          Aggiungo solo che questa vicenda sta assumendo connotati grotteschi, perchè se da un lato c’è il rischio di una caccia alla streghe, dall’altro lato c’è il rischio che l’abominio insito nelle molestie denunciate passi in secondo piano a causa della vastità dello scandalo, laddove le diffusione del fenomeno finirebbe per sminuirne la condanna sociale.
          Spero solo che così non accada….

      2. Onestamente non sapevo neanche dell’esistenza di quell’articolo. Nell’ultimo periodo sono stato afflitto da un’insolita pigrizia, che mi ha portato a non aprire la posta elettronica anche per diversi giorni di seguito (e infatti adesso ho oltre 1200 mail non aperte). Di conseguenza mi ero perso la notifica di quel post, che ho comunque letto adesso insieme ai tuoi commenti.
        Ebbene, ti dirò che rispetto a te sono più ottimista. Non credo che Hollywood stia gettando in pasto al popolo qualche porco e allo stesso tempo ne stia proteggendo altri: in questo momento anche chi ha dato solo un pizzicotto sul culo è un potenziale mostro da sbattere in prima pagina, e proprio il caso Hoffman ne è la prova lampante.
        Non credo neanche che con il moltiplicarsi dei casi comincerà a svilupparsi una logica da mal comune mezzo gaudio: l’opinione pubblica è troppo indignata, un po’ perché gli scandali sessuali colpiscono più di altri reati gravi, un po’ perché si sente tradita da dei professionisti per i quali con gli anni avevano sviluppato una grande fiducia e un grande affetto. Io invece a veder tradita la mia fiducia ci ho fatto il callo, quindi probabilmente non rimarrei scioccato più di tanto se venisse fuori che John Goodman o Mark Ruffalo sono implicati nello scandalo. Chiaramente mi auguro che non sia così, perché dei film con John Goodman ho bisogno come l’aria! 🙂

        1. Mi fa piacere leggere del tuo ottimismo, che fa il paio anche con quello di Kasabake.
          Io resto disilluso: certi vizi sono inesterpabili purtroppo.
          E il corporativismo di questi colossi complica ulteriormente le cose.

          Per il momento, le uniche due cose tra i miei passatempi che mi interessano sono:
          a. una ripresa solida del Milan
          b. l’imminente uscita di Justice League, che spero abbiano speziato con la tamarraggine di di Suicide Sqaud che, ancor oggi, resta forse l’esperimento di cinecomic più riuscito nel DC Comics Extended Univers.

      3. Io invece sono eccitatissimo all’idea di vedere Borg McEnroe: il trailer lascia intuire un film più epico che mai, e il fatto che abbia vinto il premio come miglior film alla Festa del Cinema di Roma mi fa pensare che la qualità sia altissima. L’unica incognita sono gli attori (Borg lo fa uno sconosciuto e McEnroe lo fa Shia LaBoeuf… no comment), ma questo non diminuisce minimamente il mio entusiasmo. Se penso che tra 24 ore circa sarò in sala non sto più nella pelle! 🙂

        1. Neppure sapevo che Borg-McEnroe avesse vinto il festival di Roma…
          Comunque nè il poster nè il cast mi hanno entusiasmato. A mia memoria ricordo solo un film sul tennis, la commedia romantica WINBLEDON con Paul Bettany e una deliziosa Kirsten Dunst.
          Ora invece escono praticamente insieme due film sul tennis: quello da te segnalato e “La battaglia dei sessi” con Emma Stone.
          Ora mi sono quindi incuriosito, mi sa che li vedrò entrambi 🙂

  8. Lap, Lap, ma quante volte ancora dovrò spronarti a cimentarti anche in un’opera umoristica?
    La tua introduzione è splendida e, come sempre, quando parti parlando di qualche tua esperienza personale mi strappi tante belle risate, e questo t’assicuro è un talento raro e prezioso, lasciatelo dire da chi ha letto svariati libri del suddetto genere.
    Far piangere lo sanno far tutti, ma far ridere … è tutta un’altra questione!
    Mah?! Si sa, chi ha i denti non ha il pane, e chi ha il pane non ha i denti … avessi io il tuo talento!
    Ma passiamo al lato forse più comico della faccenda; come ben sai, se ti è capitato di leggere le mie recensioni di The Tree of life, o di To the Wonder di T. Malick io sono un entusiasta delle sue “evacuazioni” (ha ha ha), ma su una cosa ti do ragione: a volte è difficile capire il confine tra genialità e paraculata e qualcuno potrebbe approfittarne, per cui sempre allerta fratello!
    Non ho ancora visto Knight of Cups, quindi non so ancora a quale delle due categorie appartenga questa pellicola; quando la vedrò ti farò sapere.
    Per gli altri due ne garantisco la grande poesia e raffinatezza, vederle dipende solo dal paio di occhiali che ci sono capitati in sorte 😉
    Il tuo blog ed il tuo stile rimangono sempre un modello e fonte di ispirazione Lap, grazie! 🙂

    1. Ale, ti ringrazio per l’incoraggiamento.
      Ti confesso che sto rivedendo alcune decisioni prese con me stesso tanto tempo fa e accarezzando l’idea di scrivere anche al di fuori del cazzeggio che, alla fine della fiera, rappresenta un blog. Ma è ancora tutto nebuloso, senza direzione.
      Passando ad argomenti più interessanti, posso capire cosa rappresenti Malick per te. Il suo talento registico è fuori discussione e un attento osservatore come te sarà senz’altro deliziato dai suoi virtuosismi. Io, tuttavia, che dell’aspetto tecnico del cinema capisco ZERO e mi limito all’aspetto estetico (nel senso più esteso del termine) non posso che disperarmi per le tendenze barocche che ha assunto la sua filmografia.
      Aspetto di sapere il tuo parare sul film, quando l’avrai visto!!!!

  9. Direi che, con la premessa così ben raccontata della tua esperienza di vita vissuta, su questo film hai reso l’idea alla perfezione. Non lo guarderò mai, così come non ho visto To the wonder e The tree of life. The New World già mi era bastato, ma almeno lì una storia c’era, anche se annacquata con lunghezza e lentezza esasperanti. E pensare che La sottile linea rossa me l’ero visto al cinema e mi era (ap)parso di così inusuale bellezza, metaforicamente e non.
    Un tempo Malick impiegava anni a fare un singolo film, curandolo con puntigliosità maniacale, e veniva considerato un genio col quale ogni attore aspirava a lavorare almeno una volta nella vita, perfino gratis, vuoi per ambizione artistica vuoi perché faceva curriculum. Ma oramai è diventato un regista seriale tirando fuori un titolo all’anno, puntualmente osannato dalla critica, altrettanto puntualmente affossato dal pubblico. Sembra quasi che invecchiando disperi di riuscire a dire tutto ciò che ha elaborato e centellinato per decenni. Come diceva qualcuno, invecchiare è brutto. Peccato.

    1. La tua riflessione è senz’altro condivisibile.
      Mi sento di aggiungere solo un punto:
      come tutti gli artisti, la qualità dei propri lavori assomiglia sempre a una parabola e prima o poi, tutti, iniziano quella discendente.
      Ed è chiaro che ormai Malick l’abbia intrapresa e il ritmo serrato con cui sforna film non fa altro che enfatizzarla.

  10. come te non amo Malick e nemmeno tutti quei cineasti che mi ricordano i blogger intimisti, l’uso di spazi accessibili a tutti per incartare e inscatolare paranoie personali spacciate per rigurgito di un “IO” senza pietra di paragone (minchia al mattino presto ragiono come i critici che critico)

    in realtà con questo mio intervento intendevo, intendo dare un contributo alla prima parte del tuo frizzante post, pare esista un vero e proprio servizio di intelligence culinario tra gli staff dei potenti della terra. Ogni visita, ufficiale o privata che sia, viene regolarmente seguita da pranzi o cene, quindi gli “agenti segreti” della cucina si informano/documentano sui gusti dell’ospite di turno. All’inizio del suo mandato Presidenziale i lacchè di Giorgio Napolitano sparsero la voce sulla vera e propria passione del “capo” nei confronti degli spaghetti pomodoro e basilico, la cosa si trasformò in un vero e proprio supplizio per ben nove anni, magari si è dimesso proprio perché stufo di mangiare SPB cucinati ad minchiam.

    1. Speriamo che almeno la signora Clio vari un po’ la cucina giornaliera…. altrimenti il povero Giorgio continua a mangiare SPB pure a casa,, tutti i giorni 😀

      Grazie per la chicca, TADS, molto divertente.

      A tal proposito, mi hai fatto tornare in mente un film visto poche settimana fa, VICTORIA E ABDUL: tutta la prima parte è messa in scena durante i banchetti reali cui presenziava la regina, una interminabile teoria di pranzi, cene, rinfreschi, biscottini del te, etc et etc. Tant’è cha la regina era proprio obesa 🙂

      PS: sui critici bacchettoni sofisticatoni moralistoni, sono dalla tua parte 😀

  11. Mi pare di capire che questo film rientri nella categoria delle pellicole da consigliare al peggior nemico. Lo terrò a mente, può essere utile. Non ho visto il film ma avere un cast mostruoso e non tirarne fuori qualcosa di notevole è quasi criminale.

    1. Ultimamente a Malick capita sempre…

      Comunque esisterebbe anche un altro utilizzo perspicace del film: nel caso soffrissi d’insonnia, la visione prolungata funzionerebbe meglio della classica conta delle pecore 😀

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