“Nella parte inferiore della scala,
sulla destra, vidi una piccola sfera
cangiante, di quasi intollerabile fulgore.
Dapprima credetti ruotasse; poi compresi
che quel movimento era un’illusione
prodotta dai vertiginosi spettacoli che
essa racchiudeva. Il diametro dell’Aleph
sarà stato di due o tre centimetri,
ma lo spazio cosmico vi era contenuto,
senza che la vastità né soffrisse.
Ogni cosa (il cristallo dello specchio,
ad esempio) era infinite cose,
perché io la vedevo distintamente
da tutti i punti dell’universo”
J. L. Borges, L’Aleph
.
Tutta la mia vita è stata una costante e tenace ricerca dell’Aleph. L’ho cercato in ogni dove e in ogni quando, stremato ma mai avvinto, sempre avanti col cuore e la mente subito dappresso.
La prima volta lo trovai a 7 anni, durante un freddo pomeriggio invernale. Bighellonavo rovistando tra vecchi cassetti quado mi ritrovai in mano un gagliardetto finemente decorato nel quale si intrecciavano strisce rossonere: mia madre mi spiegò che era appartenuto a mio padre. Soppesai a lungo quel cimelio, come se col tatto potesse evocare fantasmi, ricordi, sogni: diventare tifoso del Milan non fu una scelta bensì un’eredità genetica, come i capelli scuri o il disegno delle labbra. Qualcosa che era stato di mio padre era finalmente anche mio: fu quella la prima volta che gli volli bene anche senza averlo potuto conoscere.
Non passò molto tempo perchè io trovassi l’Aleph una seconda volta. In terza elementare, durante una lezione di italiano, la maestra fece leggere un racconto del sussidiario intitolato Il carbonchio azzurro. L’estasi che mi colse mentre gli occhi, voraci, divoravano le parole non mi abbandonò per lungo tempo e quando rincasai, scappai subito in cameretta per leggere nuovamente il racconto. Lo rilessi lo rilessi e lo rilessi senza sosta finchè, pochi giorni dopo, comprai un libercolo estratto dopo attenta ricerca da una cesta di libri allestita vicino alla cassa del supermercato: Le avventure di Sherlock Holmes.
Talvolta invece è l’Aleph a venirci incontro e ci andiamo a sbattere inconsapevoli, come un uomo a passeggio che trova una banconota per terra o pesta una merda di cane. A me capitò mentre sceglievo una tuta in un negozio di abbigliamento sportivo: gli altoparlanti riempivano la stanza con una musica elegante e poco appariscente che faceva da tappeto sonoro ad uno dei testi più meravigliosi della musica italiana.
Venite gente vuota facciamola finita
Voi preti che vendete a tutti un’altra vita
Se c’è come voi dite un Dio nell’infinito
Guardatevi nel cuore l’avete già tradito
E voi materialisti col vostro chiodo fisso
Che Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso
Le verità cercate per terra da maiali
Tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali
Da allora, ogni volta che sento il bisogno di riconciliami con il mondo ascolto sempre “Cirano” di Guccini, ovvero la canzone più completa che ci sia.
Capita di rado ma talvolta l’Aleph prende la forma di un viaggio attraverso cui compiere un percorso di crescita o redenzione. Ricordo ancora la prima volta che ho sfiorato la mano di Romina: io lavoravo in un bar e lei voleva i gettoni per giocare ad un videogioco di aerei sparatutto (credo sia l’unica ragazza al mondo che vada pazza per i videogiochi con gli aerei sparatutto…). Mentre le monete passavano dalla mia mano alle sue, le nostre dita si sfiorarono per qualche istante mentre io incrociavo il suo sguardo luminoso pensando che sono poche le persone che sanno sorridere con gli occhi. Allora non potevo sapere il ruolo meraviglioso che Romina avrebbe giocato nella mia vita, che sarebbe stata un bellissimo Aleph e al contempo anche una bussola con cui continuare a cercarne di nuovi, giorno dopo giorno. Alcune persone ti fanno stare bene, ma ce ne sono alcune (poche) che ti insegnano come essere felice.
A un certo punto del cammino, però, qualcosa dev’essersi rotto perchè, all’improvviso, non sono più riuscito a vedere nè a trovare l’Aleph. Per quanto mi affannassi l’obiettivo si allontanava scivolandomi tra le mani e lasciandomi smarrito. Mi sentivo come Don Camillo quando il Cristo smette di parlargli, solo che io non avevo nessun crocifisso da imbracciare e trascinare su per una impervia salita così da espiare la mia protervia. Non fu facile, ma pian piano mi rassegnai alla sua assenza e a malincuore mi adattai a vivere una vita incompleta cui era stata sottratta la grazia e la meraviglia dell’Aleph.
Finchè un giorno, quando avevo perso ogni speranza di ritrovarlo, l’Aleph è ri-apparso, magnifico come mai prima, splendente nell’impossibile meraviglia dell’infinito che si traduce nel microscopico. E da allora non mi abbandona più, mi segue sempre e non è necessario coricarsi su un sacco dietro il sottoscala per goderne la bellezza: mi basta tornare a casa la sera, infilare la chiave nella toppa e aprire il portone per vedere una cascata di riccioli ribelli corrermi incontro mentre dalla labbra sorridenti si leva un gridio gioioso “BABBOOOOOOOOO“.
Alla soglia dei 40 anni ho scoperto che l’Aleph mi chiama per nome e mi guarda negli occhi e che in quello sguardo sono intrappolato perchè perdersi nell’infinita meraviglia delle bellezza è un viaggio senza ritorno e dal piacere insostenibile.
Buon compleanno piccola mia. Sei il mio Aleph oggi, lo sarai domani e lo resterai finchè i miei occhi avranno la forza di guardare.
Dolcissimo!
Mchan
Oggi faccio venire il diabete 🤣
Ma no, ci sta tutto.
Mchan
Che splendido augurio. E che meraviglia quando presente e futuro si riuniscono al passato, si crea un bellissimo senso di pienezza e continuita’.
I figli hanno il mistico potere di mescolare passato presente e futuro creando un unicum spazio temporale nel quale immergersi con piacere infinito
Mi hai commosso con queste splendide parole; sei capace a rendere la cosa più ovvia ( amare i propri figli) quasi fosse rara e speciale. A volte non ci rendiamo conto di ciò che abbiamo e viviamo nella quotidianità come mediocri personaggi di un triste spettacolo con una fine certa (incerta è la durata …), ma quando leggi parole come quelle da te scritte ti si apre il cuore e le nuvole lasciano spazio ad un magnifico sole.
Di tutte le cose che sono nella mia vita (marito, amico, professionista, blogger, etc etc etc… e perchè anche tifoso del Milan 😀 ) essere padre è la cosa che più mi rende felice e più mi appaga.
E mi piace pensare che sia così per tutti quelli che hanno avuto la fortuna e la possibilità di diventare genitori.
E mi fa ancora più piacere che qualcuno abbia colto il senso e lo spirito di questo post 🙂
Buongiorno, amico, collega blogger e fratello ermenàuta! Ho detto “buongiorno”, ma in realtà non so quando tu leggerai davvero questo messaggio, probabilmente in una pausa pomeridiana o dopo cena, se non addirittura il giorno successivo… Ma tieni il mio saluto buono comunque!
Questo è il terzo post di seguito che pubblichi, sul tuo pregiatissimo blog, di taglio squisitamente intimista, talmente tale, però, da avermi lasciato le volte precedenti addirittura senza possibilità di commento: sia chiaro che io so bene che nessuno mi ha davvero impedito di scrivere parole sotto i tuoi precedenti due articoli, ma per sincerità voglio dirti che non fu solo per questione di tempo che io non commentai, ma per rispetto ed onestà intellettuale nei confronti tuoi, che non necessiti di yesman dell’ultima ora.
Il primo di questi ultimi tre articoli è stato infatti un tuo ingresso davvero a gamba tesa nel mondo dei social network, citando persone e situazioni troppo personali da essere comprese a fondo (un po’ come una rockstar che durante un concerto saluta dal palco una persona che conosce solo lui e vedi il pubblico sorridere ma anche interrogarsi), mentre il secondo post aveva come soggetto un argomento davvero per me troppo alieno e non usabile nemmeno come metafora (pensavo ad una tua battuta sulla raccolta differenziata e Ronaldo mi è sovvenuto all’istante).
Come ultimo atto di questa trilogia initimista, hai postato oggi, invece, un articolo carico di allusioni, ancora molto personale certo, ma la scusa della celebrazione del compleanno della prole è il veicolo per parlare dell’immanenza delle proprie illusioni ed ancora uno spiraglio di una porta a specchio appena socchiusa sul mondo della crisi d’identità, perché il tuo Aleph ed il potere della sua unità e continuità è per te l’Amore con la A maisucola, che come in Matrix Revolutions porta Neo nella città delle macchine e fa scendere a miti consigli l’Architetto e l’Oracolo ed ancora è il momento in cui la notte lascia il suo regno al sole e quello in cui i destini s’incrociano, come in quel On the Nature of Daylight con cui Villeneuve fa scoprire un passato sempre vissuto ad una madre che non sapeva nemmeno che sarebbe stata tale in Arrival ed è infine la coscienza che, nella nostra limitata esitenza tridimensionale di esseri mortali, l’unica forma di eternità è il ricordo di noi che lasciamo ai nostri figli: così mi accade, quando guardo di tre quarti il mio ragazzone di ventun’anni, mentre c’incontriamo di giorno e di notte nei tanti corridoi della quotidianità ed in quei flebili istanti scatta una sorta di non-detto (come quello che il geniale James Gunn aveva messo in bocca alla stralunata coppia Gamora & Peter Quill dei Guardians of the Galaxy, prima che la cybernazista Disney lo licenziasse) che ci da ad entrambi un senso di infinito.
Sarà colpa della citazione da Borges o dal maestro Sir Arthur Conan Doyle, sarà quello che sarà, ma oggi, pur non amando in genere simili forme di intimismo social-condiviso, hai toccato corde nascoste, che mi hanno smosso il velopendolo dell’anima alla commozione.
Questo post, in una forma embrionale non molto dissimile però da quella pubblicata, almeno nella prima metà, è rimasto nella cartella delle bozze per oltre 2 anni.
La citazione di Borges la scrivo a memoria da anni (la inserii anche nell’incipit della mia tesi di laurea…) e il concetto di Aleph, nelle sue molteplici accezioni lo conservo con cura nella mia coscienza probabilmente da quando abbia memoria.
Eppure la svolta intimista finale, di celebrazione genitoriale e filiale, è venuta dopo molto tempo e la cosa bizzarra è che mi son spesso chiesto perchè non l’avessi concepito così fin dall’inizio.
Ecco, la genitorialità si riduce in fondo a questo: il palesarsi improvviso di una realtà prima incognita ma poi lapalissiana. Il cambio di prospettiva è fulmineo e incontrovertibile.
Essere genitori regala sollievo perchè allevia quel senso di finitezza e limitatezza proprio della nostra specie. In fondo la procreazione non è altro che un disilluso tentativo di sostituirsi a Dio (o chi per lui).
Eppure c’è qualcosa di più profondo oltre a questo perché un figlio è spesso anche una seconda occasione per essere una persona migliore.
E’ così che mi piace padre. E’ così che spero mi consideri mia figlia.
Buongiorno anche a te, amico mio.
PS: mi hai costretto a usare il dizionario per vedere quale fosse il significato di VELOPENDOLO. Non mi capitava da eoni di imbattermi in una parola che non conoscevo… quindi mannaggia a te… ma pure GRAZIE per avermi fatto scoprire questa bizzarra parola.
Il fatto che tu non conoscessi il termine “velopendulo” è legato solo all’età, ahimé!
Quando ero “giovine”, imperversava ovunque una campagna pubblicitaria delle caramelle Golia, allora orchestrata da una delle più creative ed importanti agenzie pubblicitarie milanesi, dove lavorava una delle più importanti e storiche copywriter: Annamaria Testa.
A lei si devono storici slogan, apparsi sia in tv che sui giornali e tra questi due sono davvero memorabili ed entrambi legati alla caramella di cui sopra: «Sfrizzola il velopendulo» e «Titilla la papilla».
Oggi la Testa scrive libri (splendido il suo La parola immaginata. Teoria, tecnica e pratica del lavoro di copywriter, edito da Il Saggiatore) ed io resto abbarbicato a vecchi ricordi, ma non c’èmerito in questo, malgrado la tua generosità!
TITILLA LA PAPILLA è favoloso!!!!!!!!!!!!
Lo userò a ogni pie’ sospinto!!!!
Conoscevo la Testa (studiai lei e altri importanti copywriter italiani ai tempi dell’università) tuttavia non ricordavo affatto questi fortunatissimi slogan.
Confesso che la citazione iniziale non è bastata a chiarirmi le idee su cosa intenda Borges per Aleph. Neanche un successivo approfondimento su Google è servito a granché. Ad ogni modo, se ho ben capito, l’Aleph sarebbe qualcuno o qualcosa che per noi è così significativo e carico di bellezza da metterci in contatto con l’infinito.
Ho riflettuto a lungo su quali potessero essere stati i miei Aleph, e stranamente non mi è venuto in mente quasi nulla. Gli unici esempi che potrei fare sono:
– “L’Uomo Ragno Deluxe” n. 4 dell’Agosto ’95, perché è stato il mio primo fumetto di supereroi;
– “Al mostro! Al mostro!” (il libro n. 7 della serie dei Piccoli Brividi), perché è stato il primo libro non per bambini che ho letto e quello che ha fatto nascere davvero la mia passione per la lettura;
– la videocassetta de “L’eliminatore”, comprata da bambino per poche lire in un negozio Blockbuster, perché è stato il mio primo film d’azione e ha fatto nascere un amore per il genere che dura tuttora.
A proposito di film, il mio proposito di arrivare a fine 2018 con la media di un film al giorno è quasi naufragato. Avevo intenzione di sfruttare il mese di Agosto per guardarne più che potevo, ma in quel mese ho sentito il bisogno di un riposo assoluto, e quindi anche guardare un film per me sarebbe stata una fatica eccessiva. E poi non ho neanche trovato dei titoli che mi interessavano così tanto, quindi ne ho visti pochi anche per questo. Se hai in mente qualche tuo vecchio consiglio cinematografico che non ho ancora seguito, questo è il momento perfetto per ricordarmelo. 🙂
Riguardo alla tua esperienza nel negozio di abbigliamento sportivo, anche a me è capitata una situazione del genere. Qualche anno fa mio padre mi lasciò in macchina da solo, io per combattere la noia accesi la radio, e venni folgorato da questa canzone:
Per fortuna avevo già un cellulare con la connessione Internet, quindi digitando le parole del testo su Google riuscii subito a risalire alla canzone. Non l’ho mai più sentita né alla radio né in tv, quindi se non fosse stato per quel caso fortuito sarei rimasto ignaro per tutta la vita della sua esistenza.
Naturalmente la parte finale del tuo post è la più tenera e la più bella. Onestamente non so se saprei dedicare delle parole così piene d’affetto a qualcuno: sia perché ho pudore dei miei sentimenti, sia perché nel mio ambiente familiare l’affetto si è sempre manifestato con i gesti e non con le parole, e questo ovviamente è un retaggio che mi ha influenzato non poco. Sì, in passato anch’io ho dedicato dei post a delle persone a me care, ma erano dei post in cui descrivevo loro o il mio rapporto con loro, non i miei sentimenti nei loro confronti. Quello è un confine che probabilmente non saprei varcare. Tu invece l’hai fatto, e con ottimi risultati: bravo Lapinsù! 🙂
P.S.: Ti ho mandato una mail. 🙂
L’Aleph è un racconto di Borges contenuto nell’omonimo libro (https://it.wikipedia.org/wiki/L%27Aleph) la cui lettura ti consiglio caldamente.
La citazione che ho riportato nell’incipit è la descrizione precisa che Borges dà dell’Aleph, ovvero una piccola sfera all’interno della quale il protagonista del racconto riesce a vedere l’intero universo: ogni persona, ogni foglia di albero, ogni centimetro di terra, tutto è perfettamente visibile e ammirabile nei pochi centimetri della sfera luminosa.
Ovviamente è un racconto molto metaforico (non è un caso che ALEPH sia la prima lettera dell’alfabeto fenicio e ebraico, nonché condivida l’etimo con la prima lettera dell’alfabeto greco, Alfa) e i significati assimilabili al concetto di Aleph non solo sono molteplici ma perfino strettamente soggettivi.
Quindi la tua perifrasi se ho ben capito, l’Aleph sarebbe qualcuno o qualcosa che per noi è così significativo e carico di bellezza da metterci in contatto con l’infinito. che riesce ad essere mirabilmente sintetica ed esaustiva, rispecchia il valore che ha assunto per me il concetto di Aleph, che in quanto tale non va considerato né giusto né sbagliato. Ti invito pertanto a leggere il racconto di Borges, perché magari ti aiuterà a stabilire una accezione tutta tua di Aleph.
Per quanto riguarda novelli consigli cinematografici, come ti ho anticipato via email, da qualche tempo sto recuperando tutta una serie di film vecchi, principalmente anni 80, che non avevo ancora visto o che volevo rivedere a distanza di anni.
• Wargames, giochi di guerra
• Codice Magnum
• Predator
• Sorvegliato speciale
• L’ultimo boyscout
I prossimi della lista saranno Donnie Brasco, Serpico e la saga dell’Ispettore Callahan (il mio sogno sarebbe spararmi – perdona il gioco di parole… – tutti i 5 film in una sola giornata, ma la vedo dura).
Nell’ultimo mese ho visto anche alcuni film più recenti, che potrebbero piacerti. Ti ho già parlato di Ready Player One e Deadpool 2, ai quali devo aggiungere Avengers Infinity War (il primo Avengers è lontano anni luce e forse non è un male…) e The Silent Man (con un sontuoso Liam Neeson). Non è male neppure Perfect Sense con Eva Green (che ovviamente caccia le tette, anche se poco). Ci sarebbe anche “War on Everyone – Sbirri senza regole” un buddy movie che mi ha consigliato Kasabake con toni entusiasti: a me non è piaciuto tantissimo, ma magari sono stato troppo severo… Eviterei invece assolutamente l’ultimo di Polaski (Quello che non so di lei), di una noia veramanete mortale.
Ho invece seguito un tuo consiglio e ho visto HOSTILE: autentico filmone e con un Bale al solito incredibile. Non gli ho dato un 8 pieno solo perché è un po’ troppo lungo (2h30m) e alcuni passaggi avrebbero potuti esser tirati meno per le lunghe, però il film merita assai. Grazie per la dritta.
Sempre tu mi avevi parlato di Lady Bird: sarebbe potuto essere bello se non fosse stato scritto diretto e interpretato con un atteggiamento da “puzza sotto al naso” che mi ha fatto venire l’orticaria…
Ah, dimenticavo, se ancora non li hai visti, recupera assolutamente
• I segreti di Wind River
• A Quiet Place: Un posto tranquillo
Entrambi sono i film più belli che ho visto questa estate.
PS: ho visto la mail, ti rispondo presto 😉
Anche secondo me, quando un film supera le 2 ore, c’è sempre qualcosa che non va. 120 minuti sono più che sufficienti per raccontare una storia (anche se molto articolata): di conseguenza, se il regista ha avuto bisogno di prendersi mezz’ora o addirittura un’ora in più vuol dire che probabilmente il film non è stato “tagliato” abbastanza, e ci saranno diversi momenti morti.
L’esempio più clamoroso di film non abbastanza tagliato è sicuramente I cancelli del cielo: Michael Cimino sicuramente non era uno stupido, quindi mi chiedo come abbia fatto a non capire che nessuno sarebbe andato a vedere un film di 3 ore e 39 minuti. E mi chiedo anche come abbiano fatto i produttori a permettergli di far uscire un film di quella lunghezza. Probabilmente sia loro che Cimino erano convinti che la fama da lui acquisita con Il cacciatore fosse sufficiente a portare gli spettatori in sala a prescindere. Forse sarebbe bastato dividere il film in 2 capitoli, e anche qui è incredibile che nessuno ci abbia pensato.
L’unica volta in cui ho visto un film durare più di 2 ore senza momenti morti è stato con Black Book: dura proprio 2 ore e mezza, e ogni singolo minuto è assolutamente necessario (oltre che molto bello). Corro a risponderti alla mail! 🙂
La lunghezza in un film è come il sesso in una storia d’amore: se tutto va bene conta il 10%, se tutto va male conta il 90%.
Ci sono esempi di assoluti capolavori che però durano tantissimo:
• C’era una volta in America (quasi 4 ore)
• Il padrino
• Il buono IL brutto e il CAttivo
• Quei bravi ragazzi
• Braveheart
Giusto per citare i primi che mi vengono in mente: sono film talmente belli che la lunghezza esagerata non pesa affatto e anche quando ci sono rallentamenti nel ritmo che potrebbero facilmente annoiare, la bravura di regista e attori è tale da rendere memorabili anche queste parti.
Più stuzzicante, invece, verificare se esistono film molto lunghi che non hanno mai tempi morti e vanno sempre “a tavoletta”.
Anche qui vado a memoria, ma la lista è incredibilmente nutrita:
• Il cavaliere Oscuro
• Il Gladiatore
• Un mondo Perfetto
• Heat – la sfida
• La leggenda sul pianista sull’oceano
• Pulp fiction
• L’avvocato del Diavolo
• I love Radio Rock
Sono tutti film ampiamente sopra le 2 ore e dal ritmo che va dal veloce al forsennato, senza fermarsi mai.
Realizzare opere così compiute deve costare un sacrificio artistico elevatissimo perché è necessario condensare in ogni fotogramma tonnellate di energia.
Quindi, direi che in linea generale i film troppo lunghi sono da evitare, tuttavia ci sono tante eccezioni che però non fanno altre che confermare la regola 😀
Di tutti i film che hai elencato e che ho visto, a mio giudizio solo 2 non hanno tempi morti: Quei bravi ragazzi e Il cavaliere oscuro.
Riguardo a Il gladiatore, provai a vederlo nel mio penultimo anno di liceo, ma ti confesso che lo mollai dopo neanche un’ora, perché ero veramente ucciso dalla noia. Sono certo che dopo arrivino delle parti epiche a far decollare un po’ il film, ma davvero non ce la feci a tirar fuori la pazienza necessaria per aspettarle.
Riguardo a I love Radio Rock, è stato uno dei pochi casi in cui ho cambiato in corsa il mio parere sul film, da negativo a positivo. Credo che mi sia successo solo altre 2 volte, con Il lato positivo e Piano 17.
Ricordo che io e mio padre andammo a vedere I love Radio Rock al cinema, e all’inizio ci scambiavamo degli sguardi colmi di imbarazzo: il film provava a essere divertente ma risultava solo disgustoso, e ci vergognavamo noi per chi l’aveva fatto. Poi con il passare dei minuti il film decollò, e ci fece cambiare idea da così a così. Per fortuna lo guardammo al cinema, altrimenti avremmo cambiato canale e ci saremmo persi un film epico! 🙂
Che non ti sei piaciuto Il Gladiatore è un vero mistero. Ha tutti i crismi per soddisfare il tuo palato di cinefilo che, pur non essendo molto esigente, segue però delle direttive ben precise.
PUò capitare, comunque: anche io ho odiato film che tutti considerano meravigliosi.
I love Radio Rock lo vidi per caso, solo perchè Hoffman figurava tra i protagonisti, ma ne innamorai fin da subito tanto che, da allora, non mi perdo un film del regista e sceneggiatore: Richard Curtis.
Come regista non è molto prolifico e ha diretto solo 3 film: oltre al già citato ci sono Love Actually e Questione di tempo, entrambi filmoni assoluti nei rispettivi generi.
Tuttavia ha firmato molte sceneggiature, tutte di grandi successo:
Quattro matrimoni e un funerale
Il diario di Bridget Jones
Notting Hill
War Horse
Tra l’altro è tra gli ideatori di Mr. Bean, il che me lo fa amare anche un po’ di più….
Anche a me piace molto la comicità puramente fisica di Mr. Bean. Tra l’altro Rowan Atkinson ha fatto anche un’altra serie comica in cui però parlava, Sbirri da sballo: era un riuscito tentativo di aggiungere qualcosa di nuovo al filone delle serie tv sui poliziotti, declinandolo in chiave comica.
Anni dopo lo stesso tentativo venne fatto anche in America, con la serie tv The Unusuals: durò solo 10 puntate, quindi evidentemente non sfondò, ma io la trovai deliziosa.
Nel mio ultimo post ti accennavo ad un film che ho visto per la sola presenza di Sofia Vergara: Four Brothers – Quattro fratelli. Ebbene, mi è piaciuto così tanto che ho deciso di guardarmi un altro film dello stesso regista: Boyz n the Hood. Ho iniziato a vederlo mentre aspettavo la tua risposta, e anche questo ha tutta l’aria di essere un filmone.
Per quel che ho potuto vedere questo regista (John Singleton) assomiglia molto a Spike Lee, nel senso che entrambi oltre a raccontare una storia cercano anche di descrivere la vita nei quartieri neri delle rispettive città (New York per Spike Lee, Los Angeles per John Singleton). Le atmosfere di quei quartieri mi piacciono molto, quindi credo proprio che farò quello che vuoi fare tu con l’ispettore Callaghan: una bella maratona dei film di John Singleton. Non sarà facile però, perché alcuni di questi film sono caduti anch’essi nel dimenticatoio. Ti farò sapere se ci sarò riuscito o meno! 🙂
Grazie Lap per avermi fatto conoscere un nuovo nome per quella sensazione che tu descrivi così bene e che io chiamavo “Il baco di Dio”.
Sono felice perché non solo lo hai trovato, ma abita costantemente con te!
Io ho la grande fortuna di accorgermi della sua presenza di tanto in tanto, ma da quando sento che il tempo a nostra disposizione è limitato riesco a percepirlo sempre più spesso! Ed in realtà un Aleph c’è sempre a portata di mano, ma la caratteristica è di nascondersi ad un occhio distratto …
Sei un grande
A presto
Grazie Ale,
la cosa bella delle cose belle è che di solito sono diverse da come ce le immaginavamo, è per questo che bisogna sempre continuare a cercarle!!!!
A presto a che te!!!
Grazie Lap per avermi fatto conoscere un nuovo nome per quella sensazione che tu descrivi così bene e che io chiamavo “Il BACIO di Dio”.
Sono felice perché non solo lo hai trovato, ma abita costantemente con te!
Io ho la grande fortuna di accorgermi della sua presenza di tanto in tanto, ma da quando sento che il tempo a nostra disposizione è limitato riesco a percepirlo sempre più spesso! Ed in realtà un Aleph c’è sempre a portata di mano, ma la SUA caratteristica è di nascondersi ad un occhio distratto …
Sei un grande
A presto
Uno dei miei peggiori difetti è quello di scrivere di prima sotto l’impeto del pathos, così il mio “bacio di Dio” è diventato “Baco di Dio” ed altre cosucce che spero mi perdonerai 😀
E io che mi ero fatto già un volo pindarico fino al Bosone di Higgs… MI hai smontato un sogno, era solo un refuso 😀
Ma va bene così, che effettivamente ha molto più senso.
Sapevo di poter contare sulla tua magnanimità e benevolenza Lap!
Grazie 😉